Mafie al Nord, scontro Vendola-Formigoni
Dopo le polemiche tra Saviano e la Lega Nord; dopo l’allarme lanciato da DIA e DNA nelle loro relazioni; dopo il preoccupato intervento del governatore Draghi di qualche settimana fa; dopo la lettera del procuratore Pignatone al Corriere della Sera; ecco l’ultimo capitolo dell’annoso dibattito sulla presenza delle cosche al nord, nello specifico in Lombardia. Ci riferiamo allo scontro al calor bianco andato in scena ieri tra due dei governatori regionali più conosciuti dagli italiani, Roberto Formigoni e Nichi Vendola, dopo che i due erano stati protagonisti di una più leggera scaramuccia qualche settimana fa.
A margine di un incontro tenutosi a Milano, l’esponente di punta di Sinistra Ecologia e Libertà non ha usato mezzi termini: «La Lombardia è la regione più mafiosa d’Italia. La Lega Nord, nonostante una sistematica predicazione antimeridionale, non è stata molto schizzinosa verso quei meridionali che fanno riferimento alle ‘ndrine. È convenuto alle classi dirigenti del nord vivere di omertà istituzionale raccontando le mafie come un problema etnico-territoriale del Mezzogiorno». Vendola ha poi parlato di “risveglio amaro” della Lombardia, a fronte del controllo operato dalle cosche di economia e territorio e ai giornalisti che lo sollecitavano rispetto alle infiltrazioni criminali nel mondo della sanità lombarda, ha regalato un ulteriore affondo: «Non abbiamo avuto la fortuna di vedere sui tg nazionali la faccia di Letizia Moratti e Roberto Formigoni associati alle vicende di cronaca giudiziaria che raccontano quale sia il livello di pervasività della ‘ndrangheta».
A stretto giro di posta, dal Pirellone è arrivata la replica stizzita del governatore Formigoni che ha scelto la strada dell’insulto personale: «Nichi Vendola è un miserabile, lo sapevamo, e le sue parole lo confermano; tra l’altro ripete le stesse cose che ha detto venti giorni fa, quindi probabilmente è sotto l’effetto di qualche sostanza». Formigoni ha ammesso l’attacco delle cosche alla regione, salvo poi chiedersi perché Vendola non sia ancora finito agli arresti. L’esponente del PdL fa un chiaro riferimento a quell’Alberto Tedesco, ex assessore della giunta pugliese e oggi senatore autosospesosi dal PD, dopo il suo coinvolgimento nello scandalo della sanità in Puglia: «Tedesco ha detto con chiarezza che gli stessi reati commessi da lui li ha commessi Vendola. Come mai due pesi e due misure? Risponda Vendola come mai non è in galera, poi potrà dire qualcosa della Lombardia, esempio per la sanità per tutti».
A seguire, ha preso ancora la parola Vendola che ha respinto le accuse al mittente: «Se cerca qualcuno dedito all’uso di sostanze stupefacenti non si deve rivolgere a me, può guardarsi attorno. Formigoni evita il merito della questione: uno dei capi dell’ndrangheta era il direttore generale che lui aveva scelto per dirigere un’Asl». Chiara l’allusione al dottor Dobermann, al secolo Pietrogino Pezzano, le cui relazioni pericolose con esponenti della ‘ndrangheta sono finite agli atti dell’operazione Infinito. Anziché chiedere al manager – all’epoca dei fatti finiti sotto la lente degli inquirenti direttore generale della ASL di Monza e Brianza – in ragione delle indagini per associazione mafiosa avviate nei suoi confronti e poi archiviate agli inizi di dicembre, la giunta guidata da Formigoni lo aveva nominato alla vigilia di natale alla guida della ASL Milano 1, la più grande d’Italia, scatenando una rissa politica di proporzioni indescrivibili.
In merito alle allusioni sul caso Tedesco, il governatore della Puglia non è stato meno tenero: «Io ho azzerato tutto, quando hanno indagato qualcuno nella mia giunta. Formigoni, invece, quando hanno arrestato Prosperini, ha manifestato solidarietà nei confronti del suo assessore fino a quando ha patteggiato la pena». E, in riferimento a sé stesso, Vendola ha concluso, precisando ulteriormente: «Su di me hanno indagato per tre anni, non provando neanche una parolaccia nelle intercettazioni telefoniche e ambientali».
Fin qui la cronaca della polemica tra i due, che ha tanto il sapore della contesa elettorale, visto che le forze politiche stanno scaldando i motori, in vista delle prossime amministrative.
Vi risparmiamo però i commenti dei vari esponenti politici che, già ieri nella immediatezza dei fatti ma ancora di più – c’è da scommetterci sicuramente – nei prossimi giorni torneranno sulla polemica, per ritagliarsi uno spazio sui giornali e le tv locali e nazionali. Ve li risparmiamo perché vogliamo evitare di dare spazio alle divisioni tra forze politiche, perché ci preoccupa che su un tema così strategico si possano creare fazioni e preconcetti.
Discutere sul fatto che la Lombardia sia o non sia la regione più mafiosa d’Italia, francamente non è un tema che ci appassiona più di tanto; lasciamo ad altri questo genere di statistiche.
Serve piuttosto prendere atto dei fatti, circostanziati e precisi, che i magistrati e le forze dell’ordine stanno mettendo in fila con pazienza certosina in questi ultimi anni e che, a partire da maggio, saranno portati in aula a Milano.
Le inchieste della DDA di Milano e Reggio Calabria ci raccontano la pervasività della ‘ndrangheta e si collegano al lavoro svolto a metà degli anni Novanta da altri magistrati, sempre della DDA milanese che portarono alla sbarra quasi tremila esponenti delle cosche.
Le parole del governatore Draghi rilanciano l’allarme per l’economia nella regione che è il cuore pulsante del Paese.
La relazione della DNA parla ormai di “colonizzazione” e non più di “presenze” o “infiltrazioni”.
Vendola con il suo affondo tocca un nervo scoperto. Formigoni risponda con i fatti e ritorni su alcune nomine, come quella di Pezzano, ma anche quella di Mori e De Donno nel comitato di vigilanza sulle opere dell’Expo 2015, perché semplicemente indifendibili.
Non facciamo in modo, però, che tutti i fatti e i dati emersi fin qui si stemperino in accuse tra i partiti e diventino ostaggio della contesa elettorale permanente che viviamo nel nostro Paese.
Sarebbe il più grosso regalo che potremmo fare alle cosche. Non aspettano altro.
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