‘Ndrangheta, la Lombardia che reagisce
«Ma la repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l’omertà: così si può sconfiggere questo cancro della società, come l’hanno definito i vescovi italiani, che mette a rischio l’economia e la democrazia del nostro Paese». Si chiude con quest’appello la lettera del procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, pubblicata ieri in prima pagina dal Corriere della Sera: un appello rivolto alla società civile lombarda perché reagisca e si mobiliti contro il crimine, spezzando così il circuito di omertà e collusioni che hanno consentito alle cosche calabresi di prosperare nel silenzio negli ultimi decenni.
Fuori dal cono d’ombra
Il magistrato ricostruisce nella sua analisi l’evoluzione vissuta dalla ‘ndrangheta reggina, che a partire dalla Calabria si è diffusa nel resto del paese, per poi muovere alla conquista del mondo, grazie agli ingenti proventi del narcotraffico, di cui è oggi incontrastata leader, in ragione dei rapporti diretti allacciati con i cartelli sudamericani. Oggi, secondo Pignatone, i mass media dedicano maggiore attenzione agli affari delle cosche calabresi e ciò ha consentito di portare alla luce del sole la minaccia rappresentata dalla ‘ndrangheta per la nostra democrazia, fuori da quel «cono d’ombra che, salvo momentanee interruzioni (dopo l’omicidio Fortugno, dopo la strage di Duisburg), ha nascosto per decenni la criminalità organizzata calabrese a un’opinione pubblica preoccupata da altre emergenze: il terrorismo, Tangentopoli, Cosa nostra, i casalesi».
Il procuratore torna sulle risultanze dell’inchiesta “Il crimine” che nel luglio 2010 ha consentito 300 arresti, documentando nei fatti quella che è stata poi definita dalla Direzione Nazionale Antimafia con un termine che non lascia spazi ad equivoci – “colonizzazione” – perché esprime la capacità della ‘ndrangheta di coniugare modernità e tradizione, affari puliti e business illegali, controllo del territorio e dimensione internazionale. Una potenza che è andata amplificandosi con il passare del tempo per un singolare combinato disposto: la disattenzione della cittadinanza e il low profile scelto dagli ‘ndranghetisti. Un cocktail micidiale che ha permesso l’inquinamento della politica, con il progetto di portare dagli enti locali al parlamento propri uomini, «superando la mediazione spesso troppo complessa o ritenuta poco affidabile dei partiti».
Pignatone fa suo il grido d’allarme lanciato dal governatore Draghi sulla pericolosità delle cosche per l’economia e la democrazia nel nostro paese, proprio nelle regioni del nord, dove ormai omertà e convenienza hanno permesso alla cosche di esercitare su professionisti, imprenditori e operatori economici un perverso fascino. Serve quindi un’azione mirata, secondo il magistrato «con la precisa consapevolezza che bisogna contrastare la ‘ndrangheta tanto in Calabria, dove ci sono il cuore e la testa dell’organizzazione, quanto nel Nord Italia dove ci sono le sue ramificazioni e la sua espansione economica».
Fin qui il contenuto della lettera pubblicata dal Corriere della Sera, che si inserisce in un lungo dibattito aperto negli ultimi anni, in ragione delle continue risultanze investigative, prossime alla convalida in sede processuale. Il richiamo a vincere l’omertà diffusa e a collaborare è un invito che ritorna con forza periodicamente: la prima a parlarne quasi un anno fa è stata il procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, solitamente restia a proclami pubblici.
Una riscossa già iniziata
Un appello sicuramente da raccogliere e sul quale meditare quello rilanciato ieri dal quotidiano milanese, ma ci permettiamo di indicare a Pignatone che i segnali della riscossa e gli anticorpi alla presenza mafiosa sono già presenti anche in Lombardia e che quindi occorre lavorare per riempire il bicchiere già mezzo pieno, vincendo sfiducia e rassegnazione.
Da quindici anni a questa parte, infatti, una fitta rete di associazioni si è mobilitata sotto le insegne di Libera per denunciare la presenza del crimine organizzato nella regione. Oggi questo fronte antimafia si è allargato ben oltre la rete del network guidato da Don Luigi Ciotti e questo è un elemento di forza, perché sta radicando impegno e consapevolezza tra i giovani, ma non solo. Si alimenta continuamente con incontri, dibattiti, manifestazioni, iniziative di varia natura, una coscienza personale e collettiva che fonda poi impegno e mobilitazione, vincendo il meccanismo inconsapevole della delega a forze dell’ordine e della magistratura.
Non è un caso che lo scorso anno, la tradizionale giornata della memoria e dell’impegno voluta da Libera si sia tenuta a Milano e che, in occasione di quel 20 marzo, siano arrivate in piazza Duomo a manifestare contro le mafie ben 150.000 persone. Tenendo conto che 20.000 di queste provenivano da fuori regione, in rappresentanza dei coordinamenti di Libera di tutta Italia, i conti ci restituiscono il senso di una grande mobilitazione, giunta ben prima delle imponenti operazioni antimafia. In quell’occasione la società civile lombarda ha dimostrato di voler esserci, lanciando un chiaro messaggio di impegno e responsabilità.
Prosegue nelle scuole di ogni ordine e grado instancabilmente un’attività di educazione alle legalità democratica, grazie ad un manipolo agguerrito di docenti e studenti che hanno capito di essere parte attiva in questa battaglia, dando vita ad un Coordinamento delle scuole milanesi. Oggi, finalmente, anche le università si sono aggiunte a questo percorso; non è un caso che le dichiarazioni di Draghi, richiamate da Pignatone, siano state rilasciate proprio nella lezione d’apertura del ciclo di incontri progettato dagli atenei milanesi e Libera.
Anche sul fronte del riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati cresce la voglia di sperimentare e impiegare anche per finalità produttive gli immobili e le proprietà tolte ai mafiosi: nei prossimi mesi cooperazione, sindacati e associazioni si misureranno su nuovi percorsi di collaborazione, volti a dimostrare che quanto è stato tolto alle mafie può generare lavoro e sviluppo.
Anche la tanta bistrattata politica, quantomeno quella regionale, ha dimostrato di voler dare un contributo con l’approvazione di una legge sull’educazione alla legalità che, in mancanza dell’auspicabile provvedimento legislativo antimafia omnicomprensivo, rappresenta pur sempre un primo tassello importante da valorizzare, visto anche la proclamazione del 21 marzo come giornata regionale dell’impegno e del ricordo delle vittime di mafia. Attendiamo ora il varo dell’altro provvedimento legislativo in fieri, in tema di appalti, beni confiscati, usura, assistenza alle vittime.
Da ultimo, non certo per importanza, proprio per rispondere a quella domanda di parola e bisogno di giustizia, Libera ha lanciato anche a Milano lo sportello “Sos Giustizia”: una scelta strategica, vista la mancata copertura economica dell’attività, che sta in piedi grazie ad un pool di esperti volontari che sta già riscuotendo consensi, come l’avvocato Ilaria Ramoni ha dichiarato a Narcomafie: «Era doveroso dare un segnale forte sul territorio, specie al Nord, dove il coraggio della denuncia non è certo una prerogativa».
L’appello di Pignatone quindi non cade nel vuoto, ma è anzi uno stimolo ulteriore a fare di più e meglio. Non diventino le parole del procuratore però l’atto d’accusa contro una società civile, che, pur nella ancora troppo generalizzata indifferenza, ha dimostrato di voler giocare fino in fondo la propria parte contro le cosche.
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