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Processo Fortugno, confermata in parte la sentenza di primo grado

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Reggio sullo Stretto, mercoledì 23 di marzo, anno 2011; la Corte d’Assise reggina, presidente Bruno Finocchiaro, riforma parzialmente la pronuncia della Corte d’Assise di Locri in primo grado nel processo sull’omicidio di Franco Fortugno in Locri nell’ottobre 2005 (fondamentale: con la presenza dei giudici popolari, cittadini comuni) presieduta da Olga Tarzia, che il 2 febbraio 2009 aveva deciso in primo grado. Allora i togati e i cittadini inflissero condanne esemplari: 4 ergastoli a mandanti e esecutori materiali e 24 anni di carcere: 12 per Vincenzo Cordì (dell’omonimo casato che con Coluccio e Aquino di Siderno e Giojosa, controlla il brokeraggio internazionale di coca, tramite il super trader internazionale Mario Pannunzi) 8 per Antonio e 4 per Carmelo Dessì.

Allora resse l’impianto accusatorio del pubblico ministero Marco Colamonici (Dda reggina) basato in larga parte sulle dichiarazioni dei pentiti Domenico Novella e Bruno Piccolo; nel 2007 Piccolo si sarebbe tolto la vita mentre si trovava sotto protezione del ministero in località allora segreta. Ora sappiamo che il mafioso ha finito i suoi giorni a Francavilla mare, in Abruzzo. Non chiare le modalità del suicidio.

In appello il pm applicato dalla Dda Mario Andrigo (che da oggi lascia l’antimafia reggina e , da piemontese, si riavvicina a casa, destinazione Procura di Vigevano, Pavia) e il sostituto procuratore generale Fulvio Rizzo, non sono riusciti a ottenere quanto richiesto: la aggravante mafiosa per i fratelli Dessì per i Marcianò, considerati mandanti dell’omicidio e per l’affiliato del clan Cordì; la sentenza finale dice ergastolo per i killer che spararono i cinque colpi di pistola contro l’allora vice presidente regionale, all’uscita di Palazzo Nieddu del Rio dove si trovavano i seggi per le primarie a designare il candidato dell’Ulivo alle elezioni politiche.

I killer sono Salvatore Ritorto e Domenico Audino. Confermati anche gli ergastoli per i Marcianò padre e figlio, l’uno caposala e l’altro infermiere nell’ospedale della Asl 11 di Locri, dove Franco Fortugno aveva a lungo prestato servizio da medico, mentre la moglie Maria Grazia Laganà era dirigente sanitaria. La corte del grado d’appello ha invece mandato libero Vincenzo Cordì e Carmelo Dessì e ridotto le pena per Antonio Dessì a 5 anni. Le aggravanti mafiose richieste dall’accusa, non sono state riconosciute, né per Carmelo Dessì, né per il membro del clan egemone a Locri né per i due mandanti.

II ruolo di Crea e Morabito “u Tiradrittu”

Come ricordato da ‘Libera Informazione’ c’era un politico, rivale, compagno di partito nella ‘Margherita’, che ultimo dei non eletti, si avvantaggiò della morte di Fortugno. Domenico ‘Mimmo’ Crea, titolare di tre strutture sanitarie sulla costa jonica reggina, la più famosa delle quali era ‘Villa Anya’ in Melito di Porto Salvo, area grecanica a 40 chilometri dal capoluogo dello Stretto. Crea entrò in Consiglio regionale al posto del defunto Fortugno. Mimmo Crea era un frequentatore assiduo dell’addentellato delle cosche d’Aspromonte nella sanità regionale: quel Giuseppe Pansera, dottore all’ospedale di Melito, che riferiva degli affari nel settore medico al suocero, Peppe Morabito U tiradrittu, l’uomo che dava ordini a tutti nella ‘Mamma’ (come gli ‘ndranghetisti chiamano tra loro i clan dell’Aspromonte): a San Luca, a Platì a Natile ad Africo, l’ultima parola che contava era quella di Morabito, nonno del calciatore di serie A Sculli.

In alcune intercettazioni fornite dai Pm (sempre loro) Colamonici e Andrigo nell’inchiesta “Onorata Sanità”, sugli affari infiltrati dalla mafia di Mimmo Crea, si ascoltano il boss dell’Aspromonte e Pansera, il genero dottore, pianificare un ingresso in Regione tramite Crea, puntando alla torta più grossa: farlo diventare, tramite pressioni sulla Margherita e su tutta la coalizione di sinistra, assessore regionale al comparto sanitario. Per queste frequentazioni mafiose e per diverse truffe ai danni dell’erario compiute attraverso le sue strutture convenzionate, Crea è stato condannato in dicembre a 11 anni di carcere che ha iniziato a scontare, unitamente con Pansera (7 anni) e al figlio Antonio, condannato ad altri 3 anni.

La posizione di Crea però, nel delitto Fortugno, i suoi addentellati mafiosi, una sua eventuale intenzione di pianificare l’eliminazione fisica del rivale politico funzionale al suo piano di controllo della sanità regionale, è bene precisarlo, non sono mai stati concretizzati dai Pm in una richiesta di rinvio a giudizio; mancava il nesso logico che collegasse le frequentazioni mafiose acclarate del politico di Melito (poi effettivamente arrivato alla poltrona di assessore per pochi brevissimi mesi grazie all’Udc) con un piano ad alti livelli mafiosi per “togliere di mezzo” Fortugno.

L’appello della vedova

Ma il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso aveva parlato chiaro all’indomani dell’assassinio: «E’ un delitto politico mafioso»; così come ieri il pm Andrigo, da anni su queste inchieste (con Colamonici aveva chiesto 16 anni di carcere in primo grado per Crea in “Onorata Sanità”), si è detto soddisfatto, ma ha aggiunto un augurio a che: «Si faccia presto luce sui mandanti occulti». Manca ancora un passaggio, arrivare alla consorteria di mafia e massoneria che ha messo le mani sulla sanità calabrese. La vedova Fortugno lo ha ribadito ieri, alla presenza del senatore De Sena, membro commissione parlamentare Antimafia, e di Giuseppe Lumia, ex presidente di detta Commissione politica: «Ringrazio i giudici per l’ennesima giustizia fatta; ma spero che le indagini non finiscano qui…. Bisogna cercare di arrivare al livello superiore, come ha ribadito il Procuratore Grasso, ma come ripetuto anche da molti altri magistrati, la morte di Franco non poteva essere stata pianificata solo a livello locale, solo a Locri».

Le tentate truffe alla Asl Locri, i rinvii a giudizio e il signor Rappoccio

Una sanità calabrese, bisogna ricordarlo però prima di chiudere, che alla vedova Fortugno ha dato anche di recente dei dispiaceri, con il rinvio a giudizio a Locri l’8 dicembre passato. Un processo per una truffa alla Asl 11 di cui era vice-dirigente sanitaria nell’estate 2005, poco prima l’omicidio del marito. L’accusa dei Pm, che andranno a giudizio nel giugno prossimo, è di un accordo tra la dirigenza sanitaria e il chiacchieratissimo imprenditore (di frequentazioni massoniche) Pasquale Rappoccio, conosciuto come “mister Medinex”, che sponsorizzò una squadra di volley femminile arrivata a vincere lo scudetto italiano. Con la sua ditta di forniture mediche, Rappoccio avrebbe provato a influenzare i bandi di gara della Asl 11, facendosi assegnare una fornitura (a prezzi quadruplicati e quintuplicati) per materiale sanitario di base (siringhe, lacci e altri materiale a bassa tecnologia) per il pronto soccorso. La fornitura non si era mai concretizzata.

L’inchiesta era stata avviata dalla Guardia di Finanza nel 2006 proprio per il commissariamento della Asl a seguito dell’omicidio Fortugno. Il prefetto Basilone era stato nominato Commissario della Asl e aveva trasmesso gli atti della propria relazione alla Procura; il pm Federico Nesso in Locri aveva chiesto il rinvio a giudizio di tutte le persone citate nell’inchiesta. La parlamentare Laganà in Fortugno si era detta «Basita e stupita dalla decisione dei magistrati, nel cui lavoro continuo però ad avere fiducia». L’accostamento in Calabria tra le due figure ha fatto due mesi or sono, effettivamente scalpore, soprattutto per lo spessore giudiziario del Rappoccio. Pasquale Rappoccio, l’uomo che stava progettando un traffico di materiale ospedaliero tossico da riciclare in
Romania con un altro imprenditore super emergente reggino, Bartolo Bonavoglia. Pasquale Rappoccio, amico sia di Lele Mora che del Governatore ed ex sindaco reggino Peppe Scopelliti. Pasquale Rappoccio, l’uomo che mediò tra Mora, l’ex killer delle ‘ndrine De Stefano, Paolo Martino e Scopelliti, per portare starlette della scuderia Mora a Reggio al costo di 200mila euro a serata. Un accostamento, decisamente improvvido e sbagliato, per una vedova di mafia come la signora Laganà in Fortugno. In Calabria si attende che la giustizia assegni la giusta prospettiva storica alle carte burocratiche di questa inchiesta sulla Asl di Locri.

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