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Navi dei veleni, la Dda di Catanzaro chiede di archiviare il caso

Di Anna Foti il . Calabria

Non solo un’ipotesi altamente probante ma un fatto ormai consolidato. La Dda di Catanzaro ha chiesto l’archiviazione del filone di sua competenza relativo ai rifiuti pericolosi ‘affondati’ nei mari di Calabria. Il giudizio di inattendibilità che ha investito il pentito Francesco Fonti, il quale aveva raccontato di avere affondato personalmente la nave Cunsky al largo di Cetraro nel cosentino, con l’interessamento del boss Francesco Muto, ha di fatto scritto la parola fine a questa parentesi che nessuno spiraglio ha concretamente prodotto nell’ambito del fitto mistero delle navi dei veleni. L’esito di questa indagine, dichiara il procuratore capo della Dda catanzarese Vincenzo Antonio Lombardo, è stato soltanto quello di ingenerare una psicosi collettiva causando la decremento nella vendita del pesce. E’ lo stesso procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli a fugare ogni dubbio. Nelle indagini sottomarine della nave Mare Oceano e dell’Ispra non sono state riscontrate tracce di radioattività. Non è stato nemmeno riscontrato che la nave ritrovata al largo di Cetraro fosse effettivamente la Cunsky, come affermato da Fonti.

Nonostante questo epilogo gli interrogativi rimangono molteplici perché sono in tanti a sostenere che le navi dei veleni esistano ma siano in altri luoghi. Uno su tutti, il mare aperto negli abissi dello Ionio a poco più di mille metri di profondità, venti miglia a largo di Capo Spartivento, in acque internazionali, sulla costa reggina. Si tratta della Rigel, motonave troppo che è troppo costoso cercare, nonostante una sentenza di affondamento doloso e la prova di un unico affondamento in quella data, 21 settembre 1987.

Oltre venti anni fa, infatti, venti miglia al largo dalla costa jonica della nostra provincia una nave colava a picco mentre il mare era piatto, come spesso accade in settembre da queste parti. Nel mar Jonio una nave che affonda, affonda bene perchè la profondità delle acque è peculiarità tale da essere appetibile per chi deve nascondere qualcosa che non deve essere trovata.
Dal faldone di quell’inchiesta condotta dalla procura di Reggio Calabria, dal procuratore Francesco Neri coadiuvato dal Capitano di corvetta Natale de Grazia, morto in circostanze sospette nel dicembre del 1995,  e dalla Procura di Paola, dopo l’archiviazione chiesta dalla Dda di Catanzaro, potrebbe rimanere in piedi solo il filone seguito dal procuratore capo di Paola, Bruno Giordano, relativo ad interramenti presunti nel torrente Oliva nel cosentino. In quell’area, infatti, erano state rilevate presenze di fanghi industriali, con picchi di radioattività, nel sottosuolo. Non ci sarebbero comunque fusti.

Su questo fronte le indagini proseguono. A seguito di una riunione tra i tecnici dell’Arpacal e quelli dell’Ispra, che hanno proceduto ai carotaggi nell’area interessata, alla presenza del Procuratore di Paola Bruno Giordano si era deciso di espletare ulteriori prelievi nella cava di Aiello Calabro e in altri punti della vallata del torrente Oliva. La ragione di questa integrazione era stata la discordanza tra gli esiti dei prelievi precedentemente eseguiti  e che adesso sono stati espletati congiuntamente.  Questa la soluzione individuata per chiarire le incongruenze presenti nei dati consegnati al Procuratore di Paola precedentemente. L’Arpacal, per prima,  indicò nel maggio 2009 la presenza di Cesio 137 nella cava di Aiello, a seguito di prelievi, tuttavia, senza trivellazioni. Fu poi l’Ispra, con riferimento ai carotaggi eseguiti nel 2010 ad indicare una radioattività naturale, dovuta alla presenza di una particolare roccia presente nella zona. Si attende ora di capire quale sia il dato attendibile.

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