Delitto Rostagno, l’omicidio di un uomo libero
Basta seguire la storia delle indagini sul delitto di Mauro Rostagno per rendersi conto che assieme alle sottovalutazioni, depistaggi, ritardi, testimonianze false, piste inesistenti, un ruolo importante è stato svolto dall’ informazione. La stampa locale, quanto quella più importante e in mezzo un titolo di questo tipo: “Rostagno finalmente il processo”. Basterebbe questa semplice considerazione affinché, a mio parere, i giornalisti di oggi non cadano negli errori del passato, quando puntualmente ad ogni anniversario, per un certo periodo, sulla prima pagina del quotidiano regionale più letto spuntava la notizia che “le indagini erano ad una svolta” e poi col passar del tempo indagini e gli anniversari cominciarono a non avere più spazi. Rostagno cominciava con l’essere dimenticato.
Cosa voglio dire? Da quando è stato pubblicato il “dossier” dedicato a Rostagno sui “i Quaderni de L’Ora” si sia scatenata una gazzarra che ha tanti precedenti. Un tempo questa accadeva fra i giornalisti di piccolo cabotaggio, quelli che scrivono sulla cronaca locale, lontana dalla pagine nazionali. Oggi si ripete e – in confronto agli attacchi che dicono di avere ricevuto i giornalisti Lo Bianco e Rizza – posso assicurare tutti che ne sono esistiti di peggio, e provenienti anche dalla nostra realtà giornalistica.
Parlo di Trapani ovviamente, perché Trapani è questa. Trapani è quella che nel 1985 negava l’esistenza della mafia, che oggi spesso parla di più dei professionisti dell’antimafia che della mafia, che scambia le prescrizioni per assoluzioni, che mischia tutto in un unico calderone per finire con il criticare chi indaga, chi fa i processi, chi frequenta per mestiere le aule giudiziarie. Un’altra cosa che mi dispiace è questa. A mio avviso i giornalisti Lo Bianco e Rizza hanno sprecato una occasione, quella di fare un vero dossier sul caso Rostagno, mettendo dentro tutto quello che è stato giudiziariamente accertato sulla Trapani degli ultimi dieci anni. Parlare di Rostagno e del suo delitto senza parlare e scrivere dei mafiosi che si riunivano con i colletti bianchi e la politica (operazioni Rino), della mafia che controllava gli appalti (operazioni Peronospera), di Cosa Nostra che voleva trasferire in un sol colpo prefetto, questore e capo della Mobile e che voleva riprendersi un bene confiscato (operazione Mafia e Appalti), della mafia che è diventata impresa (operazioni peronospora e Mafia ed Appalti), della latitanza sicura del super boss Matteo Messina Denaro (operazioni Golem) delle indagini di Polizia e Carabinieri sull’eolico, e delle relative condanne, della infiltrazione della mafia nella massoneria (operazione Hiram), significa fare solo una inchiesta incompiuta.
Nel dossier su Rostagno è abbondantemente ripresa la cosiddetta indagine “Codice Rosso”, quella che nel 1996 portò in carcere anche la compagna di Rostagno, Chicca Roveri, e che perseguiva la “pista interna” alla Saman e l’errore che viene commesso è quello di non dire tutto quello che è successo dopo. Le indagini, infatti, si arenarono e arrivarono le collaborazioni dei pentiti, le cui dichiarazioni per la prima volta in tanti anni di fascicoli depositati presso la Dda di Palermo sono state messe in ordine, con l’esito delle perizie balistiche che hanno portato in aula, davanti ai giudici della Corte di Assise due soggetti mafiosi, Vincenzo Virga, capo della mafia trapanese e Vito Mazzara il killer delle cosche.
E’ poco tutto questo? secondo me no.
L’incipit dell’articolo firmato da Lo Bianco e Rizza è in contraddizione con la realtà delle indagini. La pista mafiosa non c’è perché piace (e la cosa è stata scritta senza usare il condizionale, che invece si usa più avanti quando si dice che il delitto sarebbe stato deciso a casa di Ciccio Messina Denaro) ma perché ce lo dicono le indagini. C’è il pentito Francesco Milazzo che mai in 22 anni era stato sentito con così tanta cura che ricorda come Vito Mazzara si vantava di riuscire a truccare le armi tanto da non fare risultare alcun segno (sovrapponibile ad altri) sulle cartucce, era Mazzara che si vantava della capacità di sapere sovraccaricare le cartucce. Le stesse che sono state ritrovate sul luogo del delitto Rostagno e non erano quindi solo i cacciatori, come ha detto il generale Nazareno Montanti “a usare questo metodo “per risparmiare”. Ma era intanto un killer di mafia.
Non è vero inoltre che Mauro Rostagno non è come Impastato, come scrivono Lo Bianco e Riza. Impastato era a cento passi dalla mafia e Rostagno anche. La mafia non l’aveva lontana, il suo editore, l’imprenditore Puccio Bulgarella si vedeva con loro, faceva con loro viaggi, pranzi, cene, e disse a Rostagno di darsi una calmata, e Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra (così veniva chiamato) andò a trovarlo dicendogli che c’era qualcosa che si muoveva contro di lui e contro Rostagno.
Tutto quello che è stato scritto mi dispiace ribadirlo ma questa inchiesta mi sembra un esercizio di ricostruzione fatto consultando vecchi articoli e reportage datati, viene anche commesso l’errore di citare un verbale di Curcio con un contenuto errato. E’ un errore che tempo addietro commisi anche io fidandomi di un articolo che girava su internet e che riportava affermava che Curcio parlando con il boss di Mazara, Mariano Agate ebbe a dire che il delitto “era cosa vostra”. Nel verbale (interrogatorio del procuratore di Trapani dell’epoca, Gianfranco Garofalo) Curcio dice, invece: «Sull’omicidio nessuno e in particolare quelli più vicini a Rostagno avevano fornito elementi utili, la mia impressione fu che il delitto di Mauro fosse uno di quei tanti delitti inconfessabili che si sono verificati in Italia e solo per questo in una intervista lo accostai a quello del commissario Calabresi o alla strage di Piazza Fontana. Non sono stato mai in possesso di elementi certi che mi aiutassero a capire il perché dell’omicidio». «Mauro – aggiunse Curcio – per un periodo quando mi scriveva mi parlava sempre, e bene, di Cardella, nell’intervista che rilasciò al mensile King mi colpì però che non lo nominava nemmeno una volta, lui che rappresentava il principio autorizzativo di tutti i comportamenti per Rostagno e per l’intera comunità, ma in quell’intervista Mauro omette di citarlo proprio parlando di Saman e ciò per me assumeva preciso significato, doveva essere accaduto qualcosa di rilevante».
Per anni si è vociferato di un incontro in carcere tra l’ex capo delle Brigate Rosse e il capo mafia di Mazara, Mariano Agate, tutti e due pronti a parlare della morte di Rostagno. Solo «leggenda ». Curcio lo ha smentito: «Agate non lo conosco nemmeno». E sul coinvolgimento della mafia, facendo riferimento alle notizie di «radio carcere» ha detto: «Mai mi è giunta notizia che potesse fare ritenere attribuibile alla mafia l’omicidio»; ma non avere notizia è cosa diversa dal dire che la mafia non c’entri”.
E’ vero che oltre al processo a Trapani, c’è una indagine in corso a Palermo. Si tratta di uno stralcio contro ignoti condensato in quella frase da anni ripetuta dal procuratore Ingroia che “fu mafia ma non solo mafia” e che lo stralcio deriva da un troncone dell’indagine che riguardò come presunto mandante l’ex guru della Saman Francesco Cardella. Ci sono rogatorie internazionali che si sono fermate e nella richiesta di misura cautelare nei confronti di Virga e Mazzara, di Cardella i magistrati non s
crivono proprio bene, sarebbe bastato prendere questo per dire meglio le cose e non ripartire con i soliti vecchi affari scoperti in tasca a Cardella, oggetto di pronunciamenti penali precisi, ma lontani dal delitto Rostagno.
crivono proprio bene, sarebbe bastato prendere questo per dire meglio le cose e non ripartire con i soliti vecchi affari scoperti in tasca a Cardella, oggetto di pronunciamenti penali precisi, ma lontani dal delitto Rostagno.
Perché se diciamo che furono gli affari illeciti dentro Saman ad armare la mano dei sicari per zittire Rostagno che quegli affari avrebbe potuto avere scoperto, è come dire che ha ragione l’ex comandante del nucleo operativo dei carabinieri dell’epoca, oggi generale in pensione Nazareno Montanti che in Corte di Assise ha detto che loro indagavano su quella pista interna. Il processo per l’appunto. Ecco un’altra parte che manca nel dossier. Non c’è spiegato il rinvio a giudizio, non si racconta della rivolta di una parte della città che quel processo ha voluto e che in massa si è presentata all’apertura, non si racconta dell’interrogatorio che l’odierno questore di Piacenza, Rino Germanà, nel 1988 capo della Squadra Mobile, ha reso ai giudici, raccontando della mafia trapanese e del perché poteva sentirsi disturbata dal lavoro giornalistico condotto da Rostagno.
Non mettere tutto questo nel dossier è come dire che fino ad oggi non è accaduto nulla, e invece non è così. Per il delitto Rostagno come per altre indagini antimafia a Trapani. C’è una storia giudiziariamente accertata della mafia trapanese. Si è letto in modo abbondante che qui è lo zoccolo duro, quei hanno vissuto e vivono la mafia che ha ucciso e quella che è diventata impresa, abbiamo scritto che Falcone e Borsellino volevano addirittura creare un pool che si occupasse solo della mafia trapanese, e poi tutto questo, le commistioni e le connessioni, uscite fuori da anni di indagini, processi e condanne, dai rapporti della commissione nazionale antimafia, di colpo svanisce, e si insiste nel dire che Rostagno fu ucciso per ragioni che non appartenevano del tutto o lo erano solo in parte alla realtà trapanese? Perché escludere a priori che Rostagno era un giornalista fuori dal sistema e che alla mafia dava fastidio e per questo fu ucciso? Perché non evidenziare, senza il condizionale, che a casa del patriarca della mafia belicina, don Ciccio Messina Denaro, fu deciso di ucciderlo?
Può darsi, anzi forse è sicuro, che in provincia di Trapani transitavano traffici di armi, con coperture eccezionali a livello istituzionale (nel 1988 non era la guerra in Somalia che si preparava ma quella in Jugoslavia e quindi come ha dichiarato il faccendiere dei servizi segreti Francesco Elmo – quello che un giorno non volle parlare del delitto Rostagno davanti al pm Ingroia perché nella stanza con loro c’era quel maresciallo Ciuro che pochi anni dopo fu arrestato per essere una talpa del Palazzo di Giustizia di Palermo – a quel tempo si “armavano gli jugoslavi”) che si muovevano sulle stesse rotte usate dai mafiosi per la droga, può darsi, anzi forse è vero, che le cave di tufo di Marsala e Mazara, le cave abbandonate di Castellammare del Golfo siano diventate le discariche dove far sparire rifiuti altamente tossici, così come da qui partivano rifiuti pericolosi per altre zone d’Italia (quelli di natura sanitaria, appalti gestiti dalle imprese del boss Virga finivano in Umbria).
Può darsi, anzi è vero, che qui le logge massoniche deviate erano frequentate da mafiosi, politici, banchieri, funzionari pubblici e che come avrebbe raccontato Rostagno ad un carabiniere (uso il condizionale perché del verbale non si ha traccia a meno che non salti fuori da qualcuno dei faldoni forse ancora non aperti del processo) addirittura Licio Gelli venne fin qui a incontrare a Mazara il mafioso Mariano Agate, anche lui iscritto alla massoneria, può darsi che Rostagno avesse avuto contezza di tutto questo, ma in una realtà come quella di Trapani (1988) dove la mafia riusciva a fare negare la sua esistenza mentre sedeva al tavolino con politici e imprenditori per decidere non solo dei grandi, medi e piccoli appalti, ma la vita di ogni trapanese, gli interventi televisivi di Rostagno per forza non potevano essere tollerati, e non potendo intimidirlo attraverso l’editore , ecco che arrivano i killer.
E’ così il delitto Rostagno letto attraverso le tante sentenze pronunciate sulla mafia trapanese. Una mafia che qui più di altrove non accetta che possa esistere la libertà, il mercato libero, l’autodeterminazione, ma conosce solo la sudditanza, cresciuta grazie ad una classe politica che ha alimentato e giammai spento il bisogno della gente, Trapani una città inondata da milioni e milioni di euro di finanziamenti pubblici che invece di produrre ricchezza hanno prodotto nuove povertà. Perché disconoscere tutto questo e infilare il delitto Rostagno in un tunnel di intrighi e gialli irrisolvibili, lontano dalla decisione di morte presa dai mafiosi e dall’esecuzione compiuta da un killer che si vantava di sapere mischiare le carte, in questo caso le cartucce del suo fucile?
Lasciamo che a “mascariare” Rostagno sia la mafia per nascondersi, siano gli avvocati degli imputati che fanno il loro mestiere ma non facciamolo anche noi giornalisti, seppure involontariamente, evitiamo di cadere in questa trappola, magari servendoci di qualche inaffidabile suggeritore. Quando fu ucciso Rostagno ricordo che giornalisti di livello nazionale facevano a gare a dire che sarebbero loro venuti a Trapani a raccontare la città (quindi avevano la sensazione che il delitto era maturato nel contesto cittadino), ma nessuno di loro si è visto. Adesso che c’è il processo in corso l’invito a chi deve scrivere è quello di venire qui a seguire il processo, senza lasciarlo solo “roba” dei giornalisti locali perché è un fatto locale.
Non è un fatto locale, il delitto Rostagno ha valenza nazionale, se si vuole raccontare cosa è la mafia oggi, cosa è la Cosa Nostra di Matteo Messina Denaro è questo processo che si deve seguire che darà la valenza di come si facevano le indagini in quegli anni, di come i giornalisti facevano il loro mestiere, di quale era l’approccio della politica con Cosa nostra. Il processo non è quello per l’omicidio di un genitore qualsiasi, non è il delitto di un animatore di una comunità che era per la liberalizzazione delle droghe, non è l’omicidio di un giornalista che faceva il suo mestiere, è il delitto di un uomo che voleva essere libero ma che voleva essere libero non da solo ma assieme a tutta la città nella quale aveva deciso di venire ad abitare.
Raccontiamo bene il delitto Rostagno partendo da quel brigadiere di una volta, vecchio stile, quel poliziotto che si chiama Nanai Ferlito che un giorno del 2008 pose una domanda all’allora capo della Mobile, suo dirigente, Giuseppe Linares che aveva deciso di rivedere un po’ di carte antiche su quel delitto nel quale la Polizia non era stata mai coinvolta. L’unico atto risaliva al rapporto di fine 1988 firmato da Germanà (pista mafiosa) e poi nulla più. Ferlito invitò il suo dirigente a cercare la perizia balistica e se dopo il delitto Rostagno erano stati fatti raffronti con altri omicidi. Nessuno fino ad allora aveva mai pensato a fare queste verifiche e l’indagine stava andando in archivio senza questo controllo. Saltò fuori così l’esito che ha portato alla sbarra Virga e Mazzara, quelli che uccidevano senza pensarci tanto.
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