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Lombardia: ecco la ‘ndrangheta visibile

Di Lorenzo Frigerio il . Calabria, Lombardia

Il giorno dopo l’operazione “Redux Caposaldo”, ben oltre i 35 arresti e il sequestro per oltre 2 milioni di euro di beni alle cosche Flachi, Barbaro, Romeo e altre famiglie di ‘ndrangheta, ciò che colpisce è lo spaccato complessivo del tessuto sociale ed economico di Milano e della Lombardia che emerge dalla lettura delle carte processuali, prodotte ancora una volta dall’instancabile pool di sostituti procuratori Dolci, Storaro e Proietti, ben coordinati dall’aggiunto Ilda Boccassini. Pesantissime le accuse contestate: associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico di stupefacenti e smaltimento illecito di rifiuti.

I soggetti raggiunti dagli ordini di cattura sono di tutto rispetto nella gerarchia criminale. In primis quel Giuseppe Flachi, meglio noto come Pepè Flachi, uno della vecchia guardia e boss di un territorio che comprende quartieri come Quarto Oggiaro, Comasina, Affori e Bovisa per finire a Bruzzano. Seppure detenuto e destinato ad essere scarcerato nel 2015 – guarda caso l’anno dell’Expo prossimo venturo – si scopre dalle intercettazioni che Flachi è «oggi sicuramente il capo indiscusso». C’è anche suo figlio Davide tra coloro che sono finiti in manette, in compagnia di Emanuele Flachi, Paolo Martino, legato al potente clan reggino dei De Stefano e cugino del boss Paolo De Stefano, ucciso ad Archi nel 1985, Giuseppe Romeo, Francesco Gligora e altri ancora.

«Estorsione ambientale»

Si è sempre sostenuto che la differenza tra il nord e il sud era il controllo del territorio, esercitato nel meridione manu militari, ma nel giro di pochi mesi stanno cambiando tutti i parametri di riferimento delle analisi sociologiche e criminologiche, letture superate, che arrancano sotto i colpi ripetuti messi a segno dalle diverse operazioni antimafia. Eppure, in Lombardia, abbiamo dovuto attendere l’ultima relazione della DNA  per fare piazza pulita di termini ormai logori per definire la dislocazione delle cosche sul territorio lombardo: basta parlare di “infiltrazioni” e di “presenze”.
È “colonizzazione” il termine, molto poco “politically correct”, ma quanto di meglio ci possa essere, che viene utilizzato per descrivere oggi la Lombardia e Milano. E anche il blitz condotto in porto dal ROS dei carabinieri, dalla Guardia di Finanza e dalla polizia locale ci restituisce con estrema evidenza un dato inequivocabile: il famigerato controllo del territorio, da sempre prerogativa delle cosche nelle regioni del sud, ha conosciuto nuove forme di declinazione all’ombra del Duomo.

Perfino prestigiosi ospedali milanesi, come il Galeazzi e il Niguarda, finiscono sotto il controllo delle cosche e nel primo, dopo opportuna bonifica per evitare sorprese, si utilizzano gli uffici di alcuni alti funzionari amministrativi per tenere le riunioni tra Pepè Flachi e Paolo Martino. In riferimento alle attività economiche, i magistrati poi utilizzano una nuova espressione: “estorsione ambientale”, due parole che ne richiamano subito alla memoria altre due, “dazione ambientale”. Queste ultime vennero utilizzate da un altro magistrato meno di due decenni fa, anche se sembra sia passato un secolo. Il giudice in questione era Antonio Di Pietro, oggi uno dei leader dell’opposizione di centrosinistra, all’epoca punta di diamante del pool denominato Mani Pulite, impegnato a spiegare quali erano i meccanismi di corruzione, sottesi al funzionamento di Tangentopoli. Da allora di acqua ne è trascorsa tanta sotto i ponti e siamo così passati dalla “dazione ambientale” – tutti gli imprenditori pagavano ai politici perché il sistema degenerato della partitocrazia funzionava così – alla “estorsione ambientale” – tutti i soggetti economici finiti nell’inchiesta pagano ai mafiosi perché c’è un controllo del territorio che rende, di fatto, impossibile sottrarsi all’imposizione del pizzo – ma non è che una variazione sul tema per un sistema criminale, dove mafia e corruzione sono due facce della stessa medaglia, secondo la definizione contenuta negli atti, «uno Stato parallelo a quello legale».

Locali pubblici e movimento terra

Ve lo sareste mai aspettato, per esempio, il pizzo imposto ai venditori di panini con porchetta e hot dog, quelli che si posizionano con i furgoni all’uscita degli stadi e lungo le strade di alta frequentazioni? Chi non paga è sicuro della ritorsione, molti episodi di incendi ai danni di autofurgoni vengono registrati nelle carte dell’indagine, eppure nella civilissima Milano «tutto accade nel più assoluto silenzio, nessuno denuncia nulla, nessuno sospetta nulla». E ancora che dire dell’analoga sorte in danno degli esercizi pubblici all’interno delle stazioni della metropolitana? E che una multinazionale olandese del trasporto, come la TNT, fosse costretta ad esternalizzare ai 150 furgoni dei “padroncini”, indicati dai boss, le consegne nella Milano del 2011, cosa vi fa pensare?

E poi ancora bar e discoteche, palestre e centri sportivi in mano agli uomini delle cosche: questo e altro è contenuto nell’ordinanza richiesta dalla DDA di Milano e concessa dal Gip Gennari. Nel corso dell’inchiesta sono emerse le prove del controllo da parte dei clan anche delle funzioni di security di importanti luoghi della storica movida milanese; dall’Hollywood di Corso Como al De Sade di via Valtellina, dal Babylon di via Spoleto al Pulp di via Alserio, sono tutti locali pubblici finiti sotto i riflettori degli investigatori, che vogliono capire come questi spazi deputati al ritrovo dei giovani milanesi  e non siano diventati avamposti delle cosche, destinati allo spaccio al minuto e alla conclusione di riunioni segrete per sancire loschi affari.

Altro filone di approfondimento è la gestione di alcuni cantieri di opere pubbliche e private; nell’ordinanza è contenuto un elenco fitto di vie e luoghi che coprono lavori per la metropolitana (come via Comasina per la linea M5 o il sottopasso di Lambrate) e altre zone interessate da rilevante riqualificazione (dall’area della ex fiera al Portello all’ex Ansaldo di via Tortona). E poi ancora via Segantini, via Boiardo, viale Zara, via Adda, via Valtellina e altre opere fuori Milano, come il cantiere della Statale 36, nei comuni di Monza e Cinisello Balsamo (MI). C’è da chiedersi che fine abbiano fatto le certificazioni antimafia e i controlli da parte delle istituzioni preposte alla vigilanza nei cantieri. Parole dure quelle che vengono utilizzate del Gip Gennari: «L’impresa mafiosa ha raggiunto un preoccupante livello di accettazione sociale».

Nomi eccellenti

Nomi eccellenti sono finiti sui taccuini degli investigatori durante l’inchiesta, pur non finendo essi stessi nel registro degli indagati. Il primo è quello di Lele Mora, l’agente dei vip coinvolto nel cosiddetto “Rubygate”, il cui avvocato Luca Giuliante risulterebbe essere in contatto con Paolo Martino – che si presenta al telefono come “l’amico di Lele” – per questioni di appalti e affari nel mondo dello spettacolo.  Altri nomi sono quelli di alcuni politici locali, da Antonella Maiolo, consigliere regionale uscente del Pdl e nuovamente candidata alle elezioni a Massimiliano Bonocore (dello stesso partito e figlio di Luciano, uno dei fondatori del PdL in Lombardia). Entrambi si incontravano con Davide Flachi, nel corso di cocktail ed iniziative elettorali ad hoc. Ancora una volta Gennari non si perde in giri di parole per arrivare al nocciolo della questione: «Ora si avrà un bel dire ad affermare che nessuno conosceva la fama dei Flachi. Eppure basterebbe scorrere un motore di ricerca
web per trovare centinaia di riferimenti. Davide Flachi non ha altro titolo, neppure apparente, per fare il collettore di voti se non il fatto di essere il figlio del boss Giuseppe». Infine, altro nome è quello di Giovanni Terzi, assessore della giunta comunale guidata dal sindaco Moratti. Va ribadito che nessuno di queste personalità politiche sono indagate, ma colpisce l’estrema facilità per gli uomini delle cosche di arrivare a colloquiare con i rappresentanti dei palazzi della politica.

In attesa di ulteriori accertamenti e di nuovi sicuri sviluppi investigativi, non resta che prendere atto del fatto che la ‘ndrangheta in Lombardia è ormai visibile, anzi visibilissima, basta volerla vedere.

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