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Delitto Rostagno: quelle parole contro la mafia non ascoltate

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Ci sono pagine da sfogliare continuamente. C’è il rischio di perdere il segno e il contatto con la realtà di quel 1988 a Trapani. Testimonianze che hanno suscitato grandi perplessità, ma nessun imbarazzo in chi le ha pronunziate, come quella del generale dei carabinieri Nazareno Montanti, comandante all’epoca del delitto Rostagno del nucleo operativo, ci hanno consegnato l’immagine di un Rostagno che da una parte «aveva un nuovo modo di fare giornalismo», come ha detto l’odierno luogotenente dell’arma Beniamino Cannas, ma dall’altra parte non avrebbe fatto tanto più di altri, a proposito di attività di denuncia giornalistica: «Lo faceva con toni più forti, assumendosene le responsabilità – ha detto Montanti sentito in Corte di Assise mercoledì scorso – perché magari un sindaco poteva querelarlo» ha così risposto al pm della Dda Francesco Del Bene che però ha chiosato, «I sindaci querelano, ma la mafia uccide».

Allora le pagine da leggere continuamente magari sono quelle degli editoriali fatti in tv da Rostagno (molti raccolti in un libro dello scrittore Salvatore Mugno). Nel 1988 quasi si negava l’esistenza della mafia in città, a Trapani, ma l’ultimo editoriale di Rostagno in tv fu violento, dedicato all’uccisione del giudice Saetta (25 settembre a Caltanissetta, il giudice fu ucciso in auto assieme al figlio), fu un attacco diretto contro la mafia. Le parole dette da Rostagno giornalmente suonavamo alla mafia, e ai politici complici dei boss come una sfida, diceva ogni giorno che «la mafia era il contrario della libertà». Immaginate cosa potevano suscitare a quei mafiosi che all’epoca stavano riorganizzandosi, avevano creato il tavolino per gestire la città gli appalti, mettere a segno il sacco edilizio di mezza provincia, come hanno dimostrato anni dopo altre indagini, più attente e meticolose, fatte dalla Polizia, ma anche da (altri) carabinieri.

Peccato che la lettura di quegli editoriali, l’ascolto delle sue trasmissioni siano sfuggiti come cose importanti ai carabinieri che nel 1988 presero in mano le indagini. La conferma di ciò è contenuta ancora in  una delle risposte del generale Montanti durante il suo interrogatorio. Ad una domanda dell’avv. Enza Rando (che rappresenta Libera) che facendo riferimento al fatto che alcuni suoi collaboratori gli avevano riferito degli interventi in tv di Rostagno contro la mafia (interventi che lui non conosceva «perché non aveva il tempo di guardare la tv nemmeno la sera»), gli ha chiesto come mai non aveva pensato di sequestrare le cassette in tv, ha risposto dicendo che questo pensiero non lo colse mai, «fino a quando io sono stato a Trapani non è stato fatto». Ma si dice che una mano segreta, forse proprio quella di un carabiniere, la sera stessa del 26 settembre 1988 andò a Rtc a cercare qualcosa tra le cose e le cassette di Mauro Rostagno. E le indagini che hanno riaperto il caso, la testimonianza di Maddalena, la figlia di Mauro, hanno a tutti consegnato dati certi, di alcune cose di Mauro Rostagno si sono perdute le tracce, di una agenda, di un bloc notes e di una cassetta audio con su scritto non toccare. Può essere che tutto questo sia stato fatto da balordi e non professionisti come a qualcuno “piace pensare”?

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