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Pignataro Maggiore: arrestato il Sindaco Magliocca

Di Gaetano Liardo il . Campania

Arrestato dagli agenti della Squadra Mobile di Caserta coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Finisce così l’esperienza politica di Giorgio Magliocca, sindaco di Pignataro Maggiore dal 2002. Un boomerang che colpisce per l’ennesima volta in Campania i rapporti tra politica e criminalità organizzata. La regione, infatti, conta il maggior numero di Consigli Comunali sciolti in Italia. Magliocca, 37 anni, è accusato dagli inquirenti di concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare, si legge nella nota diramata dalla Procura partenopea: «Dalle complesse indagini (…) è emerso che il Magliocca, pur non essendo organicamente inserito nel clan Ligato – Lubrano operante nel comprensorio di Pignataro Maggiore, avrebbe contribuito a rafforzare i vertici e le attività del medesimo clan, dal quale riceveva appoggi elettorali». Il classico schema del voto di scambio, quindi, risulterebbe dalle indagini della Dda. Magliocca, in cambio dei voti ricevuti dai boss avrebbe favorito il clan per la gestione dei beni confiscati nel Comune di Pignataro.

«Il patto politico – mafioso – si legge nella nota della Procura – non occasionale, né episodico, si sarebbe snodato negli anni e si sarebbe alimentato di una costante reciprocità, testimoniata dalla circostanza, non trascurabile della rielezione, con gli stessi modi e grazie alla medesima partnership». Magliocca, sottolineano gli inquirenti, in cambio dell’appoggio ricevuto non avrebbe svolto i dovuti controlli sui beni confiscati nel proprio territorio. I boss, in questo modo, potevano continuare a gestirli. «Magliocca – si legge ancora nella nota della Procura – contribuiva a rafforzare i vertici e le attività del gruppo camorrista (I Ligato – Lubrano ndr) omettendo qualsiasi controllo dovuto in ragione del proprio status di Sindaco, in ordine alla gestione dei beni confiscati». Proprietà sottratte ai boss ma che sarebbero rimaste nella disponibilità delle famiglie camorriste.

I mancati controlli da parte del Comune che, in base alla legge sulla confisca dei beni assume nel proprio patrimonio i beni immobili sottratti ai boss per poi affidarli per fini sociali, avrebbero consentito ai mafiosi e ai propri familiari di continuare a gestire e: «Godere “de facto” dei redditi relativi a detti beni». Dai controlli svolti dagli inquirenti sono risultate, inoltre, delle irregolarità da parte di alcune associazioni affidatarie dei beni. Scrive la Procura che alcuni dei responsabili  delle associazioni: «Avevano percepito i profitti derivanti dalle coltivazioni dei fondi senza investirli in progetti finalizzati a scopi sociali». Oppure: «Pur avendo acquisito formalmente il possesso dei terreni, ne avevano lasciato la disponibilità ai medesimi coloni dipendenti dei soggetti – camorristi che avevano subito il sequestro e continuavano a percepire le rendite».

Un’indagine lunga e complessa che proverebbe il forte legame tra mala politica e crimine organizzato, in una terra, il casertano, profondamente umiliata dalla violenza dei boss. In questa situazione i beni confiscati, frutto della vittoria dello Stato e della società contro le mafie, sono diventati il simbolo dell’incapacità della politica campana di contrastare la camorra. Fortunatamente, non molto distante da Pignataro, è nata ed è funzionale la Cooperativa di Libera Terra dedicata a don Peppe Diana. Segnale che è possibile recidere i legami tra politica, malaffare e mafie anche in Campania.   

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