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Processo Rostagno: in una audiocassetta il racconto di un traffico d’armi e droga

Di Rino Giacalone il . Sicilia

Maddalena Rostagno, la figlia di Mauro, il sociologo (fondatore della comunità Saman assieme alla sua compagna Chicca Roveri e all’ex “guru” Cicci Cardella) e giornalista (lavorava presso la tv locale Rtc) ucciso a Lenzi, il 26 settembre del 1988, deponendo mercoledì davanti la Corte di Assise di Trapani ha introdotto due temi che erano finiti come «inghiottiti» dalle indagini durate, tra alti e bassi (più bassi che alti), per oltre 20 anni, e cioè la scomparsa di una audio cassetta dallo studio di Rostagno a Rtc, la tv dove lavorava già da quasi due anni rispetto a quando fu ucciso, e di un bloc notes o di una agenda dalla sua borsa trovata dentro l’auto che lui guidava al momento dell’agguato.

La storia della cassetta audio era emersa in parte durante le indagini condotte a metà degli anni ’90 dalla Procura di Trapani, che dapprima si concentrò sulla pista interna (operazione Codice Rosso, mandanti ed esecutori da ricercarsi dentro la Saman) per poi finire trasmessa a Palermo quando le rivelazioni dei pentiti fecero emergere scenari ben diversi, con un marcato ruolo della mafia trapanese nel delitto. Il procuratore Garofalo annotò infatti che secondo la testimonianza di una donna, Alessandra Faconti, amica di Rostagno, non solo sarebbe esistita una cassetta video che avrebbe provato la scoperta da parte di Rostagno di un traffico di armi e droga, gestito dalle “famiglie” mafiose di Marsala e Mazara, traffico che si muoveva sulle “rotte” del Medio Oriente) ma in possesso di Rostagno c’era anche una cassetta audio. Di questa ne ha parlato con certezza Maddalena Rostagno durante la sua testimonianza. Lei la ricorda. Una cassetta audio con su scritto «non toccare». E perchè? Secondo il rapporto trasmesso il 21 aprile 1997 alla Procura di Palermo da quella di Trapani in quella cassetta «Rostagno andava registrando i nomi delle persone coinvolte nella vicenda del traffico di armi». Rostagno insomma avrebbe trovato elementi per provare l’esistenza di intrecci tra mafia, massoneria e settori deviati delle Istituzioni che stavano dentro quel traffico. Ognuno di questi  aveva il suo bel tornaconto, in ultimo quel traffico sarebbe servito a foraggiare le milizie jugoslave che all’epoca erano pronte a scatenare la guerra civile. Non erano dunque armi e traffici rivolti verso la Somalia, ma verso l’Est europeo.

Oggi che si torna a parlare di «mandanti occulti» per il delitto, che la mafia avrebbe ucciso Rostagno non solo per conto suo ma anche per conto di «altri» – soggetti ignoti che quanto Cosa Nostra avrebbero avuto interesse ad eliminare il sociologo, perchè quell’«affare» interessava dalla mafia agli apparati deviati dello Stato (si coglie dagli atti giudiziari che ci si riferisce ai servizi segreti) – e che dunque c’è una indagine ancora aperta oltre al processo in corso a Trapani contro i conclamati boss mafiosi, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, presunti mandante ed esecutore, ecco che ci si ricorda di un particolare: il segreto di Stato opposto al procuratore Garofalo quando nel 1996 tentò di capire che tipo di attività veniva svolta presso l’aeroporto ufficialmente chiuso di Kinisia; una opposizione scritta su un foglio di carta intestata del Sismi, l’ex servizio segreto militare.

Insomma la mafia trapanese è stata e forse ancora lo è, in grado di colloquiare con i «piani alti» della palazzina delle «commistioni» dove hanno risieduto nel tempo i responsabili di stragi di Stato, depistaggi, registi occulti di intrecci economici. Se ci si riflette bene non è allora un caso che le stragi del 92 e del ’93 siano state «ordite» nel trapanese da dove partì pure il tritolo per uccidere. È questa la mafia del super boss latitante Matteo Messina Denaro e non a caso a casa dei Messina Denaro, a Castelvetrano, racconta il pentito Sinacori, fu decisa nel 1988 l’uccisione di Rostagno. Qualcuno ha scritto che Rostagno non fu come Impastato. E che cioè Impastato a Cinisi si trovò a 100 passi dalla mafia, mentre Rostagno no. In effetti può essere così, ma nel senso che i «passi» che dividevano Mauro Rostagno dalla potente mafia trapanese potevano essere molto meno.

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