La sfida di Libera Terra in Puglia: coniugare sviluppo e legalità
«Lavoriamo per creare un’economia pulita che sostituisca quella malata, senza sviluppo e senza diritti, costruita negli anni dalla criminalità organizzata». Alessandro Leo è il presidente di Libera Terra Puglia, la cooperativa che dal 2008 gestisce i terreni del brindisino confiscati alla Sacra corona unita. Vini, olio, passate di pomodoro, tarallini e frise, sono alcune delle specialità che la cooperativa produce nei campi tra Mesagne e Torchiarolo, uno dei tanti beni sequestrati alla malavita locale. Stando ai dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, la Puglia è la quinta regione italiana – in questa particolare classifica si trova subito dietro a Sicilia, Campania, Calabria e Lombardia – per numero di beni sequestrati alla criminalità organizzata.
Nelle province pugliesi, fatta eccezione per quella di più recente istituzione (2004), che raccoglie i Comuni di Barletta, Andria e Trani, i beni confiscati sono 906, più dell’otto per cento del totale a livello nazionale. Ci sono lotti con ville in costruzione, locali commerciali, ristoranti di lusso, appartamenti, bar, palestre capannoni industriali e terreni agricoli.
Proprio come quelli affidati alla cooperativa Libera Terra Puglia. «I nostri campi erano di Pino Rogoli, Carlo Cantanna e Tonino Screti», spiega Alessandro Leo. Nomi che tra i “picciotti” della Sacra corona unita contavano eccome. Pino Rogoli è uno dei “sacristi”, uno dei fondatori della mafia pugliese, mentre Carlo Cantanna e Tonino Screto sono stati due elementi di spicco dell’organizzazione, due dei cassieri che contribuirono alla repentina espansione della Sacra corona unita tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta.
L’organizzazione criminale iniziò ad allungare i suoi tentacoli sulla Puglia nel corso degli anni Settanta. Nel giro di poco più di venti anni, con 47 clan e oltre 1.500 affiliati, o meglio “battezzati”, pur non riuscendo mai a raggiungere un radicamento sul territorio simile a quello di Cosa nostra, delle ‘Ndrine e della Camorra, l’organizzazione riesce a controllare i traffici illeciti della regione, inquinandone il tessuto economico. Stupefacenti, prostituzione, traffico di armi, estorsione e usura: un giro di affari da oltre due miliardi di euro all’anno.
Oggi, nonostante una dura offensiva giudiziaria nella seconda metà degli anni Novanta che sembrava averne reciso definitivamente le radici, la Sacra corona unita continua a operare anche grazie ai collegamenti internazionali, che riforniscono i magazzini della malavita pugliese di stupefacenti e armi di contrabbando.
Un’organizzazione che negli anni, come si legge nell’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia, è diventata: «Fluida, contrassegnata da una pluralità di consorterie che si relazionano, internamente ed esternamente, con equilibri spesso incerti e mutevoli».
E delle balbuzie dei clan della Sacra corona unita ha approfittato la cooperativa gestita da Alessandro e dai suoi ragazzi, che lavorano i terreni agricoli confiscati ai boss per recuperarne gli spazi e farne il grimaldello del cambiamento sociale e della promozione della legalità nei territori infiltrati dalle mafie. Una sfida alla criminalità organizzata che, però, ha il suo prezzo.
«Non sono mancati incendi più che sospetti nelle vigne o intimidazioni personali ai nostri collaboratori – racconta il presidente della cooperativa brindisina -. Ma non ci siamo mai fermati davanti alle ritorsioni della malavita locale».
Le stesse che non sembrano impensierire più di tanto Gianfranco Vissani, uno tra i più noti chef del mondo. Pochi giorni fa al cuoco umbro è stato affidato il Parco dei templari, un complesso di lusso da sedici milioni e mezzo di euro sequestrato a un malavitoso di Gravina nel 2002. Si tratta di una modalità di gestione, in cui il pubblico incontra il privato, molto diversa dall’esperienza cooperativa.
«Quando un’azienda viene confiscata ai boss – spiega Alessandro Leo – spesso è costretta a chiudere. Il Parco dei templari non dovrebbe correre questo rischio e nessuno dovrebbe perdere posti di lavoro. Certo, l’impostazione è diversa. Quella di Vissani sarà un’impresa privata, non ha fini sociali perché nasce con uno spirito diverso dal nostro. A noi non basta produrre buoni prodotti, lavoriamo per diffondere i valori come libertà e giustizia. Ma questo – conclude il presidente di Libera Terra Puglia – non vuol dire incomunicabilità tra i due progetti. Anzi, spero che Vissani punti sulla qualità e si rivolga anche a noi e ai nostri vigneti».
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