La legge 109 compie 15 anni. Lo speciale di Libera informazione
Era il 1996 quando il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, consegnava all’allora presidente della Camera un milione di firme raccolte per l’utilizzo sociale dei beni confiscati ai boss. Un milione di cittadini chiedeva al Parlamento di fare un passo in avanti nella lotta alle mafie, restituendo alla collettività quanto sottratto dalle organizzazioni criminali. In quindici anni la legge 109 ha consentito alla Stato di riprendersi migliaia di beni: palazzi, appartamenti, terreni, aziende. Un fiore all’occhiello della legislazione italiana. Dall’entrata in vigore della legge sono stati confiscati 11.152 beni. La regione con il maggior numero di beni sottratti ai boss è la Sicilia (4.971), seguita da Campania (1.679), Calabria (1.544) e Lombardia (957). In questi quindici anni, tuttavia, la legge non ha avuto vita facile. Osteggiata dai boss, perché compromette i patrimoni illeciti, non è molto apprezzata neanche dalla politica. In diverse occasioni si è cercato di stravolgerla inserendo emendamenti che ne depotenziavano la portata.
Con l’ultimo di questi tentativi si è introdotta la possibilità di vendere i beni confiscati all’asta. Una minaccia che ha portato ad una forte mobilitazione della società civile. Il rischio che le proprietà tornassero nelle disponibilità dei boss era troppo alto. Tramite prestanome, infatti, le mafie avrebbero potuto tranquillamente riacquistare quello che lo Stato aveva loro sottratto. Mandando in fumo indagini lunghe anni. L’emendamento della vendita dei beni è stato adottato. Contemporaneamente, tuttavia, il Governo ha fatto nascere l’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati. Una struttura centralizzata, con sede principale a Reggio Calabria, in grado di gestire con più celerità le procedure che vanno dal sequestro alla confisca definitiva, fino all’assegnazione del bene per finalità sociali.
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