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Reggio Calabria: busta con proiettile a pm Giuseppe Lombardo

Di Gaetano Liardo il . Calabria

Una busta con all’interno un proiettile di kalasnikov. Destinatario: Giuseppe Lombardo, procuratore delle Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. La missiva è stata intercettata dai Carabinieri a Lamezia Terme, che hanno avvertito il magistrato. Non è la prima minaccia che Giuseppe Lombardo riceve. Nel 2010 ha ricevuto minacce via posta a gennaio e a maggio. In quest’ultima c’era un foglio con la scritta: «Farai la fine di Falcone e Borsellino». Una minaccia esplicita nei confronti del magistrato che sta gestendo alcune delle inchieste più delicate della Procura di Reggio Calabria. Quelle relative agli intrecci tra ‘ndrangheta, politica, massoneria e  servizi deviati.

Lombardo, tra l’altro, sta raccogliendo le testimonianze di Antonino “Nino” Lo Giudice, pentito della cosca Lo Giudice. Dichiarazioni importanti, queste, che stanno consentendo agli inquirenti di aprire un varco nella fitta rete di collusioni e protezioni di cui godono i boss calabresi. Grazie a Lo Giudice, e agli altri collaboratori di giustizia Consolato Villani, Roberto Moio e Paolo Iannò, sono stati messi a punto operazioni significative. L’arresto del capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi, in servizio dal 2003 al giugno 2010 alla Dia di Reggio Calabria, con l’accusa di collusione e favoreggiamento. L’arresto ai confini tra l’Italia e la Slovenia di Antonio Cortese, accusato di essere l’esecutore materiale degli attentati contro la Procura generale del 3 gennaio 2010 e contro l’abitazione del Procuratore Salvatore Di Landro  dello scorso 26 agosto.

Cortese è stato indicato da Nino Lo Giudice come l’armiere della cosca, capace di procurare armi di varia natura dall’estero. Sarebbe stato sempre Cortese, dalle dichiarazioni di Lo Giudice, a far trovare un bazooka nei pressi della Procura di Reggio Calabria lo scorso 5 ottobre, indirizzato al Procuratore della Dda Giuseppe Pignatone. Il clima da più di un anno è teso attorno ai magistrati reggini. Minacce e attentati dimostrativi evidenziano la volontà della ‘ndrangheta di alzare il tiro. Un risposta alla pressione di forze dell’ordine e magistrati che stanno colpendo duramente gli interessi dei boss calabresi e della zona grigia delle collusioni.

Lo scorso 22 febbraio, anche la politica ha finalmente affrontato il nodo spinoso del contrasto alla ‘ndrangheta, approvando nuove norme regionali. Una votazione avvenuta dopo l’ondata di arresti che ha coinvolto numerosi esponenti politici, sia locali che regionali, dei vari schieramenti politici. Lo stesso giorno in cui il Consiglio regionale approvava la normativa, senza tuttavia l’unanimità, si procedeva allo sostituzione del seggio di Santi Zappalà, capo gruppo del Pdl in Consiglio, arrestato a dicembre con l’accusa di voto di scambio. Zappalà è stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza mentre si recava in visita nella casa del boss Giuseppe Pelle a Bovalino. Dalle intercettazioni telefoniche gli inquirenti hanno appreso della richiesta di voti da parte del politico al boss, in cambio di favori e appalti ad imprese prestanome.

Una situazione ancora torbida quella che si vive in Calabria. I magistrati nonostante le minacce e le pressioni continuano il loro prezioso lavoro.

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