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Un Paese ad personam

Di Roberto Morrione il . L'analisi

In un’Italia che sta vivendo la eco delle stragi volute da Gheddafi a pochi chilometri dalle sue coste, in un Mediterraneo sconvolto negli assetti economici, politici, interetnici che condizionano il futuro di tutto l’Occidente, Silvio Berlusconi ripropone con pervicacia il suo assalto alla Costituzione della Repubblica. L’obiettivo è sempre lo stesso, salvarsi dai processi che lo incalzano e che, insieme con i suoi affari, nelle accuse di concussione e prostituzione minorile minano ora la sua immagine personale e la credibilità come uomo oltre che come statista. Vediamo ogni giorno il quadrato che lo difende a livello parlamentare e di tenuta del governo, toccando punte grottesche , come nel voto che legittimava la sua condotta nella telefonata in questura a Milano attorno alla “nipote di Mubarak”.

Nella stessa direzione va la compra-vendita di senatori e deputati per disgregare l’odiato gruppo di Fini, raggiungere la quota “salvezza” chiesta dagli ultimatum della Lega, avere via libera sull’unico terreno di riforma che gli interessi: la giustizia, cioè in pratica non accogliere le legittime richieste dei cittadini, ma come colpire l’autonomia dei Pm e l’attuale assetto del Csm che ne difende il ruolo sancito dalla Costituzione.

Rientrano così in campo il cosiddetto processo breve, i termini di prescrizione, la “improcedibilità” per gli uomini di governo, il ripristino dell’immunità parlamentare, insomma la paccottiglia “ad personam” che sembrava spazzata via e che invece gli “uomini di legge e di Berlusconi”, fra i quali il ministro Alfano assimilato nel suo ruolo agli avvocati del premier, rispolverano come obiettivo.  Riappare anche il decreto sulle intercettazioni, cioè quella legge-bavaglio che  sembrava affossata per la resistenza dei magistrati, la reazione del mondo giornalistico e della cultura, l’intervento del Capo dello Stato, l’impegno dei finiani allora ancora nella maggioranza.

C’è un’evidente logica di potere in questo rinnovato assalto ai pilastri della Costituzione: “la legge eguale per tutti” con l’obbligatorietà dell’azione penale e l’articolo 21 che protegge la libertà di stampa. E non sembrano sufficienti, almeno per ora, i richiami solenni del Presidente Napolitano, né ultima la difesa dello strumento giudiziario delle intercettazioni da parte della Corte dei Conti. Va dunque rimesso rapidamente in moto lo schieramento a difesa della Costituzione e dei principi-base della democrazia oggi nuovamente in pericolo.

Già il 12 Marzo, con l’iniziativa di Articolo 21di un corteo a Roma con presidi e sit-in in altre città, gli italiani sono chiamati a scendere in piazza, insieme all’opposizione che deve ritrovare qui quell’unità non ancora raggiunta sul piano generale. E’ un percorso difficile, considerata la crisi nel Mediterraneo che incombe e la specifica responsabilità che ne deriva anche all’opposizione, ma guai se questo significasse diminuire la pressione in atto per il cambiamento politico e non contrastare con ogni mezzo democratico l’offensiva anticostituzionale.

Il potere berlusconiano cercherà invece di  approfittare di questa sorta di ombrello offerto dall’esplodere di drammi che esso stesso ha contribuito fortemente  ad alimentare e che non ha neppure denunciato con la fermezza richiesta dalla comunità internazionale. Non possiamo dimenticare il miserabile baciamano a Gheddafi offerto a tutto il mondo.

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