Prove di dialogo tra Stato e Cosa nostra
Diciotto anni dopo dall’archivio ministeriali riemergono tracce di quei documenti che indirizzarono le politiche in materia di lotta alla mafia nel delicatissimo biennio delle stragi. Una relazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria correlata all’azione di revoca del 41 bis è stata depositata presso il Tribunale di Firenze due settimane fa in merito alle decisioni prese fra il 1993 e il 1994. Durante un’audizione alla Commissione antimafia e al processo in corso contro Francesco Tagliavia (l’unico imputato al processo di Firenze sulle stragi di mafia del ‘93) l’illustre giurista, allora ministro della Giustizia, Giovanni Conso, dichiarò invece di aver fatto quelle scelte sul 41 bis “in solitudine”. Già nel novembre scorso fecero stupore le dichiarazioni dell’ex direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Nicolò Amato, che nel ‘93 chiese la revoca del carcere duro per alcuni boss: «Riscriverei il documento sulla revoca del 41 bis. Mai saputo niente della trattativa».
Scelte che continuano ad essere confermate anche da altri documenti, oggi depositati in aule di tribunali, che dimostrano come il biennio ’93 – ’94 fu particolarmente attivo per gli scambi di “pareri” e “appunti” in merito all’opportunità o meno di rinnovare i tanti 41 bis in scadenza, molti dei quali fissati nel luglio del 1992. Il provvedimento del carcere duro, all’epoca, nacque proprio come misura “emergenziale” di fronte all’avanzare della violenza mafiosa di Cosa nostra: bombe, omicidi e stragi probabilmente guidate e calibrate anche dall’esterno.
A distanza di anni, si sospetta che quelle revoche fossero state “trattate” fra pezzi dello Stato e della mafia per mettere fine agli attentati. «In sede di comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza nella seduta del 12 febbraio 1993 – si legge nella circolare del Dap del 6 marzo 1993 – sono state espresse, particolarmente da parte del capo della Polizia, riserve sulla eccessiva durezza di siffatto regime penitenziario. E anche recentemente, da parte del ministero dell’Interno, sono venute pressanti insistenze per la revoca dei decreti applicati agli istituti di Poggioreale e di Secondigliano».
Rimane necessario, come conferma anche il documento datato 2 maggio 1994, intitolato “appunti per il signor vice Direttore generale”, rinnovarlo per i detenuti. Nelle dieci pagine che compongono la relazione del Dipartimento amministrativo penitenziario viene sottolineata l’efficacia rappresentata dall’applicazione del regime di 41 bis sui boss, ma si legge anche altro. A fronte dei numerosi provvedimenti riconfermati e motivati, caso per caso, il documento, ricalcando in parte quello del 1993, annota mancate riconferme, dunque revoche per alcuni detenuti.
Nel documento si legge: «Per i provvedimenti emessi su delega dell’On. Ministro caduti rispettivamente nel mese di novembre 1993 e gennaio 1994 questo dipartimento provvide ad interessare gli organi di polizia e investigativi allo scopo di proporre all’On. Ministro per acquisire notizie aggiornate sul singoli nominativi, allo scopo di proporre all’On. Ministro l’emissione di provvedimenti di rinnovo del regime speciale […]. Sulla base degli elementi pervenuti non si è ritenuto che sussistessero le condizioni per un rinnovo dal regime».
Questi due documenti del Dap palesano che le decisioni in merito al mancato rinnovo di alcuni provvedimenti di 41 bis potrebbero essere stati presi anche alla luce di queste relazioni e non “in solitudine”. Mentre ancora si indaga sugli aspetti più delicati che in quegli anni guidarono questo “presunto” dialogo fra mafia e Stato, negli ambienti investigativi dell’epoca si ha il timore che una “seconda trattativa” sia in corso.
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