L’antimafia riparte dal Nord
Tentata estorsione, tentata rapina e lesioni aggravate: queste le accuse contestate nelle cinque ordinanze di custodia cautelare con l’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso che, nella settimana appena trascorsa, hanno riportato sotto i riflettori della pacifica Modena i legami del mondo delle professioni con il clan dei casalesi. A finire in manette, oltre ai cugini Alfonso detto “o pazzo” e Pasquale Perrone già in carcere dallo scorso anno, un sodale dei due, Carmelo Tammaro, Douglas Marchesi, in precedenza condannato ad un anno e sei mesi per usura, ma soprattutto l’avvocato civilista Alessandro “Bit” Bitonti.
Questi arresti avvenuti nell’ambito dell’operazione “Pressing 2”, sono la naturale prosecuzione di un’altra operazione, la “Pressing 1” che, finalizzata nella primavera del 2010, ha consentito agli inquirenti di ricostruire traffici illeciti e modalità – per usare un eufemismo, peculiari – del recupero crediti. I Perrone erano il braccio armato del boss Michele Zagaria per la riscossione del pizzo per conto del clan a Modena e dintorni. A sorprendere la locale opinione pubblica, però, è stata l’insospettabile compromissione di uno stimato professionista cittadino con uomini del clan. Bitonti è salito più volte agli altari delle cronache, soprattutto sportive: figura, infatti, come mediatore nelle cordate che tentano l’acquisto in tempi diversi della Reggiana Calcio e del Modena.
Questa volta, però del legale, si parla per altri motivi, meno nobili. Sotto analisi la singolare modalità adottata dall’avvocato Bitonti per rientrare di un investimento andato male: cioè un’auto acquistata da un uomo residente nel veronese, pagata con più assegni. Il venditore però manda all’incasso tutti gli assegni contemporaneamente, facendoli finire così in protesto. Oltre alla denuncia per truffa, Bitonti chiede a due conoscenti di adoperarsi per farlo rientrare dell’esposizione. Dopo il fallito tentativo di mediazione, i due malcapitati vengono chiamati a rapporto dai Perrone, nel frattempo coinvolti dal Bitonti, e vengono minacciati e malmenati nel corso di un appuntamento dove presenziano anche il legale, Marchesi e Tammaro.
Dopo il danno, la beffa, perché ai due maldestri mediatori, rei del fallimento e anche accusati di doppio gioco, viene chiesto di anticipare la somma che spetta all’avvocato, per poi rivalersi successivamente sul venditore d’auto. Insomma una vera e propria estorsione come emerge dall’ordinanza, condita da altri reati non meno gravi.
Il fatto in questione conferma la pericolosità delle relazioni che spesso si instaurano anche per futili motivi tra esponenti delle professioni e uomini delle cosche. Per questo motivo, lo scorso 28 gennaio il Comitato Unitario delle Professioni di Modena – che riunisce agronomi, architetti, avvocati, chimici, consulenti del lavoro, dottori commercialisti ed esperti contabili, geologi, geometri, infermieri, ingegneri, medici, periti agrari, periti industriali, veterinari – in un convegno pubblico organizzato insieme a Libera e Libera Informazione, ha presentato la propria Carta Etica.
Un invito alla corresponsabilità in quella circostanza era venuto dal presidente di Libera Don Luigi Ciotti e una significativa apertura istituzionale era venuta dal presidente dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna, Matteo Richetti, che aveva invitato i professionisti modenesi ad esportare in altri contesti le loro proposte. Un invito che anticipa la proposta di una sorta di stati generali dell’antimafia delle regioni del nord Italia, in programma nei prossimi mesi a Bologna, un importante appuntamento dove istituzioni e società civile si confronteranno sulle possibili strategie da contrapporre all’avanzata delle cosche al nord.
Insomma segnali di chiara e inequivocabile condanna per tutte le condotte ritenute disdicevoli e non appropriate, ribadite anche in occasione di quest’ultimo episodio. Infatti, dai professionisti di Modena è arrivato un plauso alle forze dell’ordine, unitamente al pressante invito ad non abbassare la guardia: «L’arresto di un avvocato per reati connessi all’attività mafiosa – ha dichiarato il presidente del Cup Pietro Balugani – rappresenta un fatto grave, ma questo episodio non fa che confermare la validità dell’allarme lanciato dal Comitato Unitario delle Professioni di Modena sul pericolo di infiltrazioni criminali nel nostro territorio. Ora nessuno può più dire di non sapere o di non vedere che anche a Modena è possibile che vi siano contatti tra professionisti senza scrupoli ed esponenti della malavita».
Ricordiamo che la Carta etica prevede la sospensione del professionista nel caso dell’avvio di procedimenti penali – di fatto l’impossibilità di lavorare – e finanche la radiazione, nel caso sopraggiunga la condanna definitiva per il reato di associazione mafiosa, di favoreggiamento o in caso di confisca definitiva di beni.
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