In nome della legge
A volte sembra di assistere ad un copione già visto. Quando emergono vicende giudiziarie che coinvolgono il premier, prima arrivano insulti ed aggressioni alla magistratura, poi seguono gli annunci di iniziative legislative punitive per i magistrati. In queste circostanze abbiamo assistito a un costume politico di alcuni rappresentanti dell’attuale maggioranza di Governo che hanno reso pratica quotidiana l’insulto e il dileggio nei confronti di un’indefettibile istituzione dello Stato. Un’assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità della magistratura davanti agli occhi dei cittadini, facendo leva, con un gioco evidentemente facile, sulla generale delusione per le mancate risposte alla legittima ansia di giustizia.
Tutto questo, però, non ci intimidisce. Sono certo infatti che i magistrati italiani continueranno ad applicare la legge con serenità, imparzialità e in maniera eguale per tutti e a spiegare quali sono le riforme di cui la giustizia ha bisogno davvero. La crisi politica degli ultimi mesi sembra aver bloccato qualsiasi ipotesi di una seria riforma della giustizia. Ma i problemi restano. Lentezza dei processi, drammatica penuria di risorse umane e materiali, vetusta organizzazione e mancata informatizzazione sono le piaghe con le quali siamo chiamati quotidianamente a convivere nei nostri uffici, a fronte del continuo aumento della domanda di giustizia che contribuisce a fare del magistrato l’anello debole della catena, sul quale finiscono per concentrarsi inevitabilmente le insoddisfazioni della collettività.
Per risolvere questi problemi abbiamo avanzato alla politica delle proposte serie, concrete e precise individuando quelle che riteniamo essere delle priorità e che possono essere riassunte nei seguenti punti: 1) eliminazione dei Tribunali e dei processi inutili; 2) informatizzazione degli uffici giudiziari; 3) predisposizione di adeguate risorse umane e materiali. Dobbiamo tutti avere la consapevolezza che la nostra funzione è rivolta al cittadino per il quale, alla sofferenza per un diritto negato o atteso, si aggiunge l’ulteriore disagio dovuto ai ritardi di un sistema del cui malfunzionamento abbiamo piena coscienza e che deve costituire per il legislatore un presupposto imprescindibile per una seria riforma della giustizia.
Certo ci sono anche i nostri errori. Quegli errori che tolgono il respiro a ciascuno di noi; ma non possiamo accettare che alcuni ci considerino gli unici responsabili di un sistema in crisi e ancora peggio di essere descritti, in maniera del tutto falsa e infamante, come una corporazione di fannulloni super pagati impegnata a proteggere gli interessi di una casta accusata delle peggiori nefandezze. Lo dobbiamo ai colleghi che hanno pagato con la vita la passione per la giustizia e a quanti lavorano con impegno e in silenzio.
In questi anni si è parlato impropriamente di una contrapposizione tra politica e magistratura. Al contrario, l’Anm si riconosce nei principi di leale collaborazione e di reciproco rispetto tra le istituzioni e il terreno di scontro nel quale in molti hanno cercato di trascinarla non le appartiene. Il nostro non è un ruolo di “avversari”. Resto sempre convinto che il rapporto tra la magistratura e gli altri poteri debba accantonare sterili polemiche e strumentali antagonismi, per individuare validi strumenti di politica giudiziaria che, invece, purtroppo, a tutt’oggi, latitano, come continua a mancare un’organica e razionale riforma della giustizia.
Abbiamo assistito, infatti, a una serie di interventi episodici e contingenti dettati dall’esigenza di risolvere situazioni legate a singole vicende processuali e sempre mirati a limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Ciò è avvenuto in occasione delle annunciate riforme costituzionali in materia di separazione delle carriere, di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale e di Csm, nonché in occasione dei non meno insidiosi progetti di legge ordinaria in materia di intercettazioni, processo breve e polizia giudiziaria svincolata dal pm.
In queste occasioni abbiamo segnalato, con la dovuta fermezza e facendo sentire forte la nostra voce, le ricadute che le norme avrebbero avuto sul sistema evitando in questo modo l’approvazione di provvedimenti che avrebbero messo in ginocchio la giustizia. Questa nostra azione, che ha sofferto in vari momenti di solitudine, ha, comunque, sortito l’effetto di far crescere progressivamente il fronte di quanti, nel mondo politico e nella società in genere, si sono poi convinti del fondamento giuridico e dell’onestà intellettuale delle nostre ragioni.
Io credo che a ciò abbia contribuito anche il metodo che abbiamo scelto: costanza nei contenuti, ma anche disponibilità al confronto e all’ascolto, dialogo, razionalità, nessuna faziosità, rifiuto di ogni atteggiamento pregiudiziale o ideologico. Questo ha dato forza e credibilità all’Associazione e ai valori di autonomia e di indipendenza, di giustizia e di eguaglianza che l’Anm ha posto al centro del suo operato
*Presidente Associazione nazionale magistrati
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