Nascono i “Quaderni de L’Ora”, mensile siciliano d’inchiesta
«Il paese è alla deriva. E il giornalismo d’inchiesta, il giornalismo che ci hanno insegnato alla grande scuola de L’Ora, è un prezioso strumento di resistenza civile alla crisi della democrazia che oggi affligge le istituzioni». Così Sandra Rizza, collaboratrice de “Il Fatto Quotidiano” e animatrice insieme a Giuseppe Lo Bianco de “I Quaderni de L’Ora”, il nuovo mensile d’inchiesta siciliano, ispirato all’esperienza del quotidiano “L’Ora” di Palermo, commenta questa nuova avventura editoriale che riporta nelle edicole quel modello di giornalismo, chiamando a raccolta molte firme prestigiose dell’epoca e alcune nuove leve.
Un ritorno importante con un nome che ha fatto la storia del giornalismo siciliano. Quando e come è nata l’idea del mensile che sarà da febbraio in edicola?
E’ nata all’inizio dell’estate scorsa. Dopo aver scritto alcuni saggi su grandi storie giudiziarie italiane irrisolte, volevamo dar vita ad una testata che facesse del giornalismo d’inchiesta il suo linguaggio essenziale. Quella del mensile ci è sembrata la forma più adatta ad ospitare l’approfondimento informativo che volevamo realizzare. Così è nata l’idea dei “Quaderni de L’Ora”. Un omaggio alla grande testata dove siamo cresciuti, diventando giornalisti, che abbiamo realizzato anche rimettendo insieme il vecchio nucleo professionale del glorioso quotidiano di Palermo. Abbiamo contattato colleghi che oggi lavorano sparpagliati in numerose testate, locali e nazionali. Tutti hanno aderito con entusiasmo al nostro appello. E oggi eccoci qui, pronti a cominciare l’avventura.
Il mensile avrà fra i suoi collaboratori molte ex firme del quotidiano diretto da Vittorio Nisticò. Cosa portate ancora con voi di quella che da molti fu definita “una scuola di giornalismo”?
La passione civile che sta alla base del nostro mestiere è la molla più forte che ci spinge a scrivere e a continuare a scrivere, sempre e comunque, facendo saggi d’inchiesta o giornali. Il paese è alla deriva. E il giornalismo d’inchiesta, il giornalismo che ci hanno insegnato alla grande scuola de L’Ora, è un prezioso strumento di resistenza civile alla crisi della democrazia che oggi affligge le istituzioni. Qui in Italia, nei giornali e nelle tv ”di famiglia” del premier, il giornalismo è stato umiliato, inquinato e trasformato in squallido dossieraggio per colpire gi avversari politici del padrone. Ma il giornalismo è una nobile arma che deve servire a tenere sotto controllo il potere politico e anche quello giudiziario, impedendo ognni tipo di abuso. In questo senso, la libertà di informazione è un pezzo fondamentale e irrinunciabile della democrazia. Noi non intendiamo rinunciare al diritto di essere giornalisti e di svolgere fino in fondo il nostro diritto-dovere di informare i cittadini.
L’Ora raccontava la Palermo di mafiosi come Angelo La Barbera, Michele Greco, Giovanni Bontate, Gaetano Badalamenti, Nino e Ignazio Salvo. Riina e Provenzano. Oggi quale mafia racconterete?
Non tanto la mafia militare, la ”manovalanza” dei soldati mafiosi. Quella che oggi deve essere raccontata è l’intelligenza superiore che sta dietro la strategia delle stragi, la strategia della tensione terroristico-mafiosa. Oggi la verità da scoprire sta nell’identità misteriosa dei mandanti occulti che si nascondono dietro Cosa nostra. La regia occulta delle stragi, quelle ”menti raffinatissime”, per dirla con Falcone, che sono annidate all’interno della classe dirigente italiana, che hanno il volto delle istituzioni, e che hanno usato i sicari mafiosi come un ”service” della violenza.
Da poco è stata confermata la condanna in Cassazione per l’ex presidente della Regione Siciliana. L’attuale, Raffaele Lombardo, sarebbe coinvolto in una inchiesta che ha al centro “relazioni pericolose”con clan catanesi. Perchè la classe dirigente siciliana non riesce a liberarsi da questo rapporto con Cosa nostra e colletti bianchi?
Non è un problema, secondo noi, della classe dirigente siciliana. Quello delle collusioni mafiose è un problema che riguarda la vita democratica del Paese. A partire dal premier, che non ha mai spiegato l’origine dei suoi immensi capitali, che secondo alcuni pentiti provengono dagli affari illeciti di Cosa nostra. Dalla nascita della seconda repubblica in poi, c’è un legame perverso tra mafia e politica, che ammorba l’intero Paese, che è fatto di patti e di ricatti, e che è all’origine della degenerazione della nostra democrazia. Non per nulla Berlusconi abbraccia e bacia pubblicamente il suo amico Marcello Dell’Utri (condannato per mafia in appello a 7 anni) e Dell’Utri definisce «un eroe» il mafioso Vittorio Mangano, ex stalliere di Arcore. Se chi governa il Paese è costretto a dare questi segnali, vuol dire che la trattativa tra Stato e mafia continua.
Quanto invece è stato “costruito” sul versante antimafia e cosa manca ancora?
L’antimafia ha indubbiamente molti meriti. Ha costruito coscienza civile. Ha creato consenso attorno ai pm antimafia, contribuendo a rendere possibile il lavoro degli inquirenti. La giustizia è un fatto sociale, non riguarda solo i giudici. Riguarda anche i cittadini che devono sostenere, accompagnare e accettare il percorso del disvelamento giudiziario di verità che possono essere scomode, addirittura indigeribili. Ecco che l’antimafia ha in questo processo di costruzione della consapevolezza collettiva un ruolo importantissimo. L’unico rischio è che all’interno del fronte antimafia possano infiltrarsi, per ragioni di comodo, per motivi di immagine, professionisti in mala fede, amici dei mafiosi. Lo slogan ”la mafia fa schifo” urlato urbi et orbi da Cuffaro, condannato a 7 anni dalla Cassazione per favoreggiamento alla mafia, ne è un esempio chiaro.
In due libri, scritti insieme a Giuseppe Lo Bianco (che è nel direttivo de “I Quaderni de L’Ora”) vi siete occupati del biennio stragista – ’92 – ’93. Ci sono oggi le condizioni per arrivare a verità ufficiali su quello che accadde in quegli anni?
Diceva Sciascia che lo Stato non può processare se stesso. Più emergono, dalle indagini sullo stragismo, le responsabilità di pezzi dello Stato, più ci allontaniamo dalla possibilità di illuminare la verità di quanto accadde dentro un’aula di giustizia. Per questo, nonostante la buona volontà di tanti pm e di tanti servitori dello Stato, oggi il rischio è che – in nome della ragion di Stato – nelle aule di giustizia vengano confezionate solo verità ”compatibili”, comode, accettabili. E che la verità vera non venga mai rivelata, per non rischiare un crollo delle istituzioni.
Qual è lo stato di salute del giornalismo in Sicilia?
In Sicilia il monopolio dei tre grandi quotidiani da quarant’anni ha creato una situazione di equilibrio stabile che neppure la presenza di Repubblica a Palermo è riuscita a scalfire. Si tratta di testate filo-governative che non brillano certo per la loro aggressività nei confronti del potere. I “Quaderni de L’Ora” sono una testata indipendente, l’unica nell’Isola. Siamo giornalisti riuniti in una cooperativa. Siamo gli editori di noi stessi. Non intaschiamo fondi pubblici. Non abbiamo alle spalle gruppi editoriali, finanziatori, partiti, chiese. Siamo solo noi, giornalisti armati solo di penne e passione. L’unico introito, a parte le vendite del giornale, saranno le poche pagine di pubblicità (otto) previste nel giornale. Speriamo di rompere una volta e per tutte questo monopolio, portando una ventata d’aria fresca nel mondo dell’informazione in Sicilia.
Il mensile avrà al centro “le inchieste”, a distanza di tanti anni da quella “palestra” di giornalsimo d’inchiesta che fu L’Ora, cosa significa ancora fare giornalismo d’inchiesta in Sicilia?
Significa lavorare da soli, essere guardati con sospetto e invidia, guadagnare pochissimo, essere disposti a rinunciare a carriera e prestigio pur di restare liberi nella professione. Significa fare tanti sacrifici. Ma, vi assicuriamo, ne vale la pena.
I Quaderni de L’Ora sono in edicola da febbraio in Sicilia. E’ possibile abbonarsi al mensile scaricando il modulo dal portale http://www.iquadernidelora.it/
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