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Libia continuano gli scontri. Il Raìs fa bombardare Zawia

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

In Libia la situazione è ormai precipitata. L’emittente araba al Arabiya parla di violenti scontri e di bombardamenti contro i manifestanti a Zawia, 120 kilometri da Tripoli. Un ex ufficiale dell’esercito passato con i rivoltosi parla di: «Crimini contro l’umanità» nella cittadina assaltata dalle truppe di Gheddafi. Intanto il figlio del Raìs, Saad Gheddafi, dichiara che il governo libico controlla l’85% del territorio. Il rischio dello scoppio della guerra civile sembra inevitabile. Su twitter rimbalzano notizie sempre più agghiaccianti. Violenze inaudite che le truppe di Gheddafi stanno infiggendo alla popolazione civile. I video trasmessi ieri, e parzialmente ripresi dalle tv, sono particolarmente crudi.

Dimostrano l’efferatezza degli scontri e l’uso di armi da guerra per stroncare la rivolta. Al Arabya ieri ha parlato di oltre 10 mila morti. Un dato non verificabile, ma che appare verosimile dalle notizie frammentate che arrivano dalla Libia. Intanto proseguono le defezioni di ministri e militari che abbandonano il Raìs per unirsi ai rivoltosi. L’ex ministro degli interni, Abdullah Fattah Yunes ha consegnato le proprie dimissioni. Raggiunto da Al Arabiya ha dichiarato di aver ordinato ai suoi uomini di non usare le armi contro i manifestanti. Inoltre ha aggiunto un particolare interessante. Un collaboratore del Colonnello avrebbe cercato di uccidere Gheddafi mentre teneva un discorso. Tuttavia avrebbe sbagliato mira e ferito un’altra persona.

Notizie comunque confuse. Settori dell’esercito si ammutinano, mentre la repressione è affidata a mercenari africani. I ribelli non hanno intenzione di fermarsi fino a quando il vecchio leader non sarà estromesso dal potere. Gheddafi non intende cedere e fuggire da Tripoli. La situazione viene monitorata dalle cancellerie europee che non nascondono perplessità nei confronti dell’Italia. Roma ha atteso a lungo prima di scaricare il Colonnello, rischiando di dare una sponda alla mattanza libica. Stato di massima allerta nelle basi militari del sud Italia. Si temono ripercussioni da Tripoli, che già in passato non ha esitato a lanciare missili contro il nostro Paese. Le preoccupazioni di Roma, partner strategico della Libia, si fondano anche su altre questioni.

Tripoli ha importanti partecipazioni finanziarie nel nostro Paese e l’Italia rappresenta il primo partner commerciale della Libia. Inoltre, parte delle risorse energetiche dell’Italia arrivano dalla Jamahiriya. Infine, il Colonnello è stato uno dei pilastri della politica dei respingimenti portata avanti dal Governo Berlusconi. Cinque miliardi di euro, comprese importanti forniture militari, in cambio della chiusura dei porti libici ai migranti che dalla Libia cercano di arrivare in Europa. Uno scacco politico, economico che rischia di avere ripercussioni militari. Un fallimento per la politica estera italiana che su Gheddafi aveva puntato tanto. Un cavallo perdente che rischia di indebolire ulteriormente l’esecutivo, minando ancor di più la credibilità internazionale dell’Italia.

Le dichiarazioni contrastanti e confuse di Berlusconi ne sono un’evidente testimonianza. Il premier è passato dal: «Non disturbiamo Gheddafi in questo momento», all’esortare il Raìs affinchè: «Cessino le violenze». L’ultimo affondo ieri: «Stiamo attenti a chi verrà dopo». Una strategia fallimentare che testimonia l’impreparazione italiana di fronte alla rivoluzione dei gelsomini che sta infiammando il Maghreb.

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