Roma: «Riprendiamoci il maltolto»
Quanti beni confiscati ci sono a Roma e provincia? Che utilizzo si fa di questi? Domande apparentemente semplici ma che sollevano problematiche importanti. Un primo monitoraggio sui beni sottratti alle mafie è stato presentato ieri da un cartello di associazioni. Libera, Da Sud, Action – diritti in movimento, Cnca Lazio, Gioventù attiva e Equorete. Un dossier che fotografa una situazione certamente non felice, ma che avanza anche proposte concrete. La Provincia di Roma con 383 beni è la settima provincia italiana per il numero di confische. Il Lazio si posiziona tra le prime sei regioni con 482 immobili e aziende confiscate. La città di Roma ne ha 135. Se, tuttavia, si sommano i beni confiscati e quelli sequestrati su cui è iniziato l’iter di confisca e la successiva destinazione per fini sociali, la Capitale è seconda dopo Palermo.
Numeri e dati che parlano dell’effettivo radicamento delle organizzazioni criminali nella Città eterna e nei comuni limitrofi. Ebbene, di tutti questi beni confiscati, quanti effettivamente sono tornati nella disponibilità della società? Dal monitoraggio svolto dalle associazioni la situazione non è soddisfacente. Anzi. Sui 117 beni monitorati nel Comune di Roma: «Sono stati individuati 39 beni tra vuoti (10) e occupati (29), che non soddisfano i principi sanciti dalla legge 109/96». Inoltre, si legge nel dossier: «Tra questi beni 14 sono quelli con finalità produttive, categoria in cui sono stati riscontrati 9 casi di incongruenza». Vale a dire che: «I beni ospitano varie attività, dalle carrozzerie alle macellerie, che se confermate mal si conciliano con le finalità di legge». A questi devono essere sommati 34 beni destinati ad alloggi per gli indigenti e altri 46 beni, destinati e consegnati: «Di cui non è possibile acquisire ulteriori informazioni».
Neanche dai Municipi. Gli autori del dossier, infatti, si sono trovati davanti ad una realtà disarmante. Presso numerosi uffici municipali, infatti: «Non era nota la presenza di questi immobili, non si conoscevano gli assegnatari né tanto meno i criteri di assegnazione». Un’opportunità mancata, che incide anche economicamente sui bilanci pubblici. Il valore complessivo delle perdite economiche di beni non utilizzati, o destinati a finalità diverse da quelle sociali ammonta a: «4,7 milioni di euro di patrimonio pubblico, destinati ad attività sociali ed abbandonati». «Ancora più rilevante – prosegue il dossier – il valore di quelli occupati, pari a 19,7 milioni di euro, tra cui figurano quelli destinati ad attività produttive».
Dal monitoraggio, tuttavia, emergono anche dati positivi. Sono 32, a Roma, i beni confiscati e destinati ad un effettivo utilizzo sociale. Per quel che riguarda la Provincia di Roma, il monitoraggio si è concentrato sui beni presenti nei Comuni di Frascati, Grottaferrata e Ardea. «Qui si concentra, infatti, buona parte dei beni confiscati nei Comuni della Provincia. Su 19 beni monitorati, sono 3, tutti concentrati nel Comune di Ardea, quelli non utilizzati». A Grottaferrata i beni: «Sono destinati tutti alle forze dell’ordine, mentre non è stato possibile svolgere la verifica per quelli relativi al Comune di Frascati».
Un’analisi empirica sui beni confiscati a Roma e provincia che si arricchisce con proposte concrete e di facile attuazione. Dall’istituzione di un registro pubblico sui beni confiscati nel Lazio, alla realizzazione di bandi pubblici per l’assegnazione dei beni. Dall’istituzione di uffici per la gestione dei beni sia nei comuni che in Provincia, allo stanziamento di risorse utili per la ristrutturazione di beni spesso vandalizzati e distrutti. Infine, l’attivazione di Abecol, l’Agenzia regionale sui beni confiscati del Lazio, costituita con voto unanime del Consiglio regionale nel 2009, ma di fatto scomparsa dall’organigramma regionale.
Proposte semplici e concrete che, se attuate, possono dare un nuovo impulso allo smantellamento dei patrimoni dei boss.
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