Così lo Stato si riprende i tesori delle cosche
Riciclaggio e investimenti di denaro sporco sono solo alcune delle tante facce con cui opera, nel Paese, una fetta di economia soffocata dalle regole della mafia imprenditrice. Per contrastarli, leggi mirate alla trasparenza finanziaria ma anche una agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati ai boss. Enti locali e associazioni chiedevano da molti anni il trasferimento dell’iter burocratico in mano all’ufficio del Demanio verso una struttura capace di far fronte ai tanti problemi connessi al riutilizzo dei beni. Dalla scorso gennaio a Reggio Calabria e Roma sono nate le due sedi principali di questo nuovo strumento antimafia. Con il prefetto Mario Morcone, direttore dell’agenzia, un bilancio di questo primo anno di attività.
Che poteri ha e in che modo opera l’agenzia?
Nata da un voto unanime del Parlamento l’agenzia è destinata a seguire il percorso degli immobili che tornano nella disponibilità della società civile. Dal sequestro del bene, alla confisca di primo e secondo grado e poi l’assegnazione e i bandi pubblici. L’agenzia è nata anche per poter fornire supporto reale al proseguio delle attività che su quel bene vengono realizzate, siano esse a istituzionali o sociali. Gli ostacoli e le criticità nella gestione sono di vario tipo e non cessano purtroppo con l’avvio delle attività.
Il prossimo 16 febbraio presenterete il primo rapporto annuale. Quale il bilancio?
Quando abbiamo iniziato a lavorare una buona parte dei beni confiscati con sentenza definitiva erano stati assegnati. Una parte delle aziende sottoposte a confisca era in linquidazione e altre erano invece alle prese con le ipoteche bancarie che gravano sulle imprese e in evidente stato di sofferenza. Oggi abbiamo messo in campo strumenti indirizzati a supportare il riutilizzo sociale, anche per immobili sottoposti ad ipoteca bancaria. Questo è uno dei punti di maggiore criticità. Ma abbiamo già riscontrato le prime aperture da parte di alcuni istituti bancari.
Il peso delle ipoteche ma anche l’ombra della messa all’asta dei beni non destinati. Quanto è concreto questo rischio?
Si fa di tutto per evitarlo. Penso al caso che sta coinvolgendo alcuni territori del Comune di Partinico. Lì non abbiamo la competenza per intervenire ma so che già è stato presentato il ricorso per evitare la vendita. Fino da oggi non abbiamo, in generale, ricevuto alcuna richiesta di messa all’asta ma c’è un precedente positivo, quello del feudo di Polizzi Generosa (Pa) dove si è attivato un accordo con il Banco di Sicilia che metterà al sicuro il destino del bene confiscato. Ci sono molte vie oggi praticabili, se c’è la volontà, per trovare soluzioni adeguate, caso per caso.
Quale futuro per le aziende confiscate?
Quando una impresa viene confiscata vengono interrotti, come prevede la legge, i fidi concessi; al tempo stesso i lavoratori rivendicano il diritto alla loro posizione lavorativa e proprio nello stesso momento i clienti scappano poichè si erano rivolti a queste aziende che garantivano oltre ai servizi anche una certa “tranquillità” nella gestione dell’affare. Senza questo requisito si ritirano spesso le commesse.
Che provvedimenti sta prendendo l’agenzia per evitarlo?
Abbiamo lavorato con le associazioni di categoria, da Confindustria a Confcommercio alla Coldiretti alla Lega delle cooperative. Fra i tanti interventi stiamo attivando un fondo di garanzia con il sostegno di banche, dell’Abi, e istituti di credito per sostenere queste difficili fasi evitando la chiusura delle aziende e la perdita dei posti di lavoro.
Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha dichiarato che i provvedimenti sui beni sarebbero aumentati del 300%. Può spiegarci queste cifre?
E’ necessario fare una distinzione. Una cosa sono i beni sequestrati alle mafie, dunque quelli destinatari del primissimo provvedimento che viene adottato, altra cosa sono le confische giunte a sentenza definitiva. Le cifre fornite dal Ministero dell’Interno si riferiscono ai beni sequestrati sommati a quelli confiscati. E non soltanto a quest’ultime.
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