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Armi e rifiuti, i traffici di Cosa nostra Spa

Di Rino Giacalone il . L'analisi, Sicilia, Umbria

Storie di aerei che atterrano nel buio della notte in aeroporti ufficialmente non più operativi. Storie di cave riempite da un giorno all’altro, sparite perchè di colpo colmate facendo scomparire quelle voragini nel terreno sino a qualche giorno prima ben presenti. Storie di navi inghiottite dal mare, strani affondamenti. Storie di morte, giornalisti morti ammazzati perché avrebbero potuto rivelare i retroscena di alcune di queste storie. Storie mai completamente scritte. Rimaste a metà, quasi che in modo preordinato qualcuno ha deciso che di tutto questo non dovesse rimanere alcuna traccia, solo leggende.

Ma i morti ci sono. Eccome. Come Mauro Rostagno ammazzato a Trapani il 26 settembre del 1988. A 23 anni dal delitto quando il processo sembrava fosse destinato a non cominciare mai, le carte d’indagine erano lì per essere fagocitate dall’archivio della giustizia, invece ecco che c’è un dibattimento che ha preso forma ed è appena cominciato. Delitto di mafia sostiene la Dda di Palermo. Lo hanno ucciso perché così hanno voluto i capi mafia. L’ordine l’ha dato Francesco Messina Denaro, il padre dell’attuale latitante Matteo.

Don Ciccio è morto nel 1998, è morto da latitante. Vincenzo Sinacori oggi collaboratore di giustizia ha detto di avere ascoltato con le sue orecchie il padrino di Castelvetrano che diceva che era giunto il momento di “farsi quello lì con la barba”. Ha spiegato ai magistrati, che su questo delitto addirittura lo hanno sentito nel 1997: “Farsi significa insomma uccidere, quello ogni giorno parlava male di Cosa nostra, dava fastidio. Certamente Totò Riina era pure d’accordo non si poteva fare un delitto senza che lui non ne sapesse nulla, e poi quando lo hanno ucciso non c’è stato nessuno dentro Cosa nostra che si è lamentato di quell’omicidio, se nessuno chiedeva chi fosse stato era chiaro il perché, si sapeva che eravamo stati noi”.

Vincenzo Sinacori all’epoca ha raccontato che girava in lungo e in largo la provincia di Trapani, spesso accompagnando un altro don Ciccio, Francesco Messina di Mazara, detto “u muraturi”. Con Mariano Agate era il capo della mafia di Mazara don Ciccio “u muraturi”, chiamato in questo modo perché spesso andava vestito come se fosse un operaio. E invece poteva accomodarsi al tavolo con i più potenti capi mafia. Morirà suicida anni dopo, anche lui era latitante all’epoca, lo troveranno senza vita a Mazara, per strada, vicino casa.

Mauro Rostagno è morto perché dava fastidio a Cosa nostra. E può essere. Perché in un modo o in un altro i suoi interventi dagli schermi della tv locale Rtc erano carichi di sfida contro la mafia, di ironia, ma non solo, anche disprezzo, nei confronti di un sistema politico che si faceva facilmente corrompere e che lasciava le città in abbandono. E il padrino di Castelvetrano, ha rivelato ancora Sinacori, per questo diede l’ordine di eliminarlo al capo mafia di Trapani, Vincenzo Virga: “ A sparare devono essere stati i killer più esperti” ha sottoscritto Sinacori nello stesso verbale del 1997, e tra i nomi fatti ha indicato anche quello di Vito Mazzara, il campione di tiro a volo in carcere, come Virga, per una serie di omicidi, come quello dell’agente penitenziario Giuseppe Montalto, ucciso l’antivigilia di Natale del 1995, “come regalo di Natale ai boss in carcere da parte di quelli liberi”.

Virga e Mazzara sono imputati della morte di Rostagno oggi davanti alla Corte di Assise di Trapani. Ma il movente di questo omicidio potrebbe essere più vasto rispetto a quello delineato, già comunque è concreto come movente il “fastidio” che lui arrecava ai mafiosi che nel 1988 non sopportavano che qualcuno potesse pubblicamente così metterli alla berlina.

Resta sullo sfondo del processo la storia della quale spesso si sente parlare e cioè quella che Mauro Rostagno “armato” di una telecamera era riuscito una sera a riprendere un aereo che atterrava nell’aeroporto (chiuso) di Kinisia, alle porte di Trapani, e dalla cui stiva aveva visto portare via casse cariche di armi. C’erano armi dentro quelle casse perché c’erano alcuni uomini in tuta mimetica e militare che lui aveva visto muoversi attorno a quell’aereo, che avevano aperto quelle casse, che avevano provato quelle armi, Rostagno confidò a dei soggetti che sentì distintamente il rumore di armi che venivano caricate.

Sembra una parte del racconto che mai è riuscita a scrivere la giornalista di Rai Tre Ilaria Alpi, uccisa a Mogadiscio tempo dopo il delitto Rostagno, assieme a Miran Hrovatin, quando sembrava avesse scoperto strani traffici della cooperazione italiana in Somalia, navi che portavano armi e rifiuti tossici, rifiuti pericolosi finiti seppelliti sotto le strade della Somalia, motovedette che dovevano portato aiuti sanitari che avrebbero trasportato altro verso Mogadiscio.

Il pentito Vincenzo Sinacori ha parlato ai pm di Palermo di armi e rifiuti tossici. Non era il 1988 ma il 1985 ricorda l’ex boss di Mazara e le armi arrivarono a Marsala. Era l’epoca in cui tra Marsala e Mazara stavano nascosti i latitanti più importanti di Cosa nostra, come Totò Riina, erano gli anni in cui sono spariti, inghiottiti da lupare bianche, i vecchi boss trapanesi, uccisi dai corleonesi perché di loro non si fidavano abbastanza. E perché tanta ricerca di fiducia e di cieca obbedienza da parte di Riina e soci? La cosa si può spiegare solo con la necessità di essere sicuri che certe cose potevano farsi senza che nessuno avrebbe mai tradito niente.

Un traffico di armi, un altro di scorie e rifiuti tossici, fatti con la complicità di pezzi dello Stato potrebbe giustificare la necessità di essere attorniati da chi sapeva mantenere il silenzio. Sinacori racconta del traffico di armi e ricorda che di mezzo c’era anche quello di rifiuti tossici, ma in questo caso i rifiuti non arrivavano a Trapani, ma semmai da Trapani partivano. “Erano rifiuti che provenivano dagli ospedali”.

Invece di essere smaltiti davvero si facevano sparire. Erano le imprese della mafia a gestire questi appalti, facevano in modo che risultasse un regolare smaltimento, ma quei rifiuti non finivano nei centri autorizzati: “Per quello che ne ho saputo questi carichi finivano in Umbria” ha detto Sinacori, ha spiegato di non conoscere particolari approfonditi ma di questo lui ha detto di avere sentito parlare durante quelle sue “passeggiate” con don Ciccio u muraturi.

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