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Caso Riccò, serve rispetto delle regole nel mondo dello sport

Di Roberto De Benedittis il . L'analisi

Per vincere, anche nello sport, si è disposti a tutto. Anche a mettere a repentaglio la propria vita. L’ultimo caso è quello di Riccardo Riccò, il ciclista ricoverato d’urgenza in ospedale per un blocco renale causato da un tentativo di autoemotrasfusione andato a male. Una pratica oltre che vietata, anche molto rischiosa per la salute. Libera si è impegnata, fin dal momento della sua nascita, nel campo dello sport. Siamo profondamente convinti che le capacità formative dello sport siano molto potenti per poter instaurare nella coscienza delle giovani generazioni un sistema di vita fatto sul rispetto delle regole, dell’avversario e di se stessi.

Si rimane sconcertati proprio quando dal mondo dello sport arrivano segnali che sono l’antitesi di tutti questi valori. Riccò, dopo alterne vicende giovanili dove più volte era stato fermato per valori ematici molto alti, aveva ottenuto il riconoscimento dalla Federazione Internazionale che gli aveva riscontato come fisiologico il suo ematocrito. Dopo aver vinto alcune tappe importanti al Giro d’Italia, venne squalificato per due anni durante il Tour de France 2008, dove ammise di aver preso l’EPO di ultima generazione, denominata “CERA”. Ritornato alle corse nel 2010, neanche passa un anno che a momenti ci lascia la pelle.

Non è tanto questa storia, simile purtroppo a tante altre, che ci sorprende. E’ il contesto e la modalità con cui si è consumato l’ultimo episodio della carriera di questo ragazzo di 28 anni, che per la bramosia di successo mette in gioco la propria vita.

Non possiamo essere così ingenui da credere che di quella sacca di sangue messa per 25 giorni in frigorifero, non sapesse nulla la moglie, la famiglia, il suo direttore sportivo, il suo massaggiatore, i suoi compagni di squadra (seppur olandesi). E forse non possiamo essere così ingenui per credere che fosse la prima. In questa storia purtroppo riscontriamo quel degrado morale che è vicenda quotidiana in ben altri settori della vita pubblica. La “scorciatoia” per il successo e la ricchezza, che sia la pasticca in discoteca, il doping organizzato o fai da te, o il concedersi al potente di turno.

Cosa dobbiamo o possiamo fare per fermare questa deriva che trasmette disvalori alla nostra gioventù? Il concetto di attività sportiva è proprio all’altro polo rispetto a quanto accaduto a Riccò.

Lo sport dovrebbe (di fronte a questi casi ci scappa il condizionale), essere l’emblema della salute, di quei valori già citati che dovrebbero portare ad una società più sana, più giusta, più equa. Ma in questa storia ci stanno dentro tutti, dagli organizzatori delle corse, che si vogliono sempre più spettacolari e quindi più difficili, sempre più lunghe, per avere più minuti di pubblicità, dai guru della televisione sempre pronti ad esaltare “campioni senza valore” (citiamo non a caso il titolo del libro, ormai introvabile, di Sandro Donati), per poi lasciarli al proprio destino una volta usciti dall’ingranaggio che produce soldi (come successe a Marco Pantani). Ci sono dentro gli allenatori, i medici, i paramedici, i massaggiatori, i dirigenti, tutti coloro che sulla passione di tifosi accecati (ma che stanno aprendo gli occhi), speculano e trasformano uno sport in una farmacia ambulante con tanto di ospedale da campo. Dobbiamo trovare una via d’uscita. Ma il “carrozzone” non si fermerà neanche questa volta.

Il pensiero va ai giovani ciclisti, ai quali ancora una volta sarà raccontato che se vogliono diventare qualcuno devono prendere questo e quello, che in fin dei conti lo fanno tutti, che non devono sprecare il proprio talento senza tentare “il grande passo”, e ai genitori pronti a pagare conti salati pur di vedere i figli salire sul podio più alto, verso una vita piena di gloria senza calcolare il rischio di vederli precipitare in un letto d’ospedale come Riccò. Allora non possiamo raccontargli che la sconfitta non è un dramma, che non tutti vinceranno e che se si divertiranno per un certo periodo della vita, sarà già quella una gratificazione giusta e meritata? Non possiamo dirgli che una vittoria con il trucco è una non vittoria? Non possiamo semplicemente spiegargli che lo sport dovrebbe aiutarti ad allungare la tua vita e non a spezzartela a 28 anni come ha rischiato Riccò? Noi ci proveremo sempre, ogni giorno, tutte le volte che potremo.

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