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Salento: confiscati dalla Dia beni per oltre 1 milione di euro

Di Antonio Nicola Pezzuto il . Puglia

Nuova operazione e nuovo duro colpo inferto alla criminalità salentina dagli uomini della Direzione Investigativa Antimafia di Lecce coordinati e diretti dal Maggiore Francesco Mazzotta. Oggetto di confisca definitiva i beni mobili e immobili di Polimeno Luciano, 49enne di Monteroni di Lecce, condannato a sei anni e tre mesi di reclusione con sentenza passata in giudicato nell’ aprile del 1992 con l’accusa di essere stato il cassiere del clan mafioso dei fratelli Tornese.

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso che l’avvocato del Polimeno aveva presentato contro la decisione della Corte d’Appello di confermare la misura patrimoniale e personale nei confronti del suo assistito. Alla base della proposta di misura personale e patrimoniale avanzata dal Procuratore della Repubblica di Lecce, dr. Cataldo Motta, al termine di complesse indagini patrimoniali svolte dalla Direzione Investigativa Antimafia di Lecce, una evidente sproporzione tra gli irrisori redditi dichiarati dal Polimeno e il patrimonio a lui riconducibile.

L’altro elemento determinante per l’applicazione delle misure di cui alla legge n. 1423/56 e 575/65 e successive modificazioni è quello della pericolosità sociale, il cui accertamento è autonomo rispetto ad eventuali giudizi penali  e può derivare, oltre che da situazioni conclamate (quali quelle che hanno portato all’affermazione di penale responsabilità per gravi reati), anche da elementi di minor consistenza che giustifichino, tuttavia, sospetti e presunzioni purché sufficientemente specifici e tali da raggiungere almeno la consistenza  dell’indizio.

Ne discende che il convincimento del Giudice è ampiamente discrezionale e può fondarsi anche solo sulle informazioni dell’Autorità di P.S. purché non avversate da quanto risultante dagli atti o prodotto dalla difesa. Il Tribunale ha ritenuto evidente la pericolosità sociale del Polimeno in quanto esponente di spicco della S.C.U. che non ha mai rescisso i legami col clan mafioso dei Tornese come confermato dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, concordi nell’indicarlo tuttora inserito nel contesto criminale e dedito al traffico di sostanze stupefacenti e all’usura.

Il Polimeno, inoltre,  nel settembre 2004, è stato vittima di un grave attentato da parte di soggetti appartenenti alla medesima consorteria malavitosa, considerati “emergenti” nel panorama criminale del Salento, con i quali egli era entrato in conflitto. A carico dello stesso vi sono anche in  pendenza  procedimenti penali per fatti di usura, riciclaggio e tentata estorsione.

Sotto l’aspetto fiscale, le articolate indagini svolte dagli uomini del Maggiore Francesco Mazzotta hanno consentito di accertare, da un lato, la sostanziale insussistenza di qualsivoglia reddito, e dall’altro, una serie di iniziative economiche e commerciali assolutamente incompatibili con l’esiguità dei redditi dichiarati.

Soprattutto i redditi dichiarati tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, ma anche quelli dichiarati più recentemente hanno fatto emergere la disponibilità di risorse economiche così scarse da non garantire neanche le condizioni minime di sopravvivenza. Il valore dei beni e delle attività commerciali sarebbe del tutto sproporzionato anche davanti alla penuria di redditi dichiarati da parte degli altri componenti del nucleo familiare.

Ma vediamo nel dettaglio quali sono i beni confiscati, ammontanti a oltre un milione di euro. La confisca riguarda la ditta individuale “Wall Street” per il commercio all’ingrosso di abbigliamento, la casa d’abitazione sita in Monteroni, un’autovettura Lancia Phedra, un’autovettura Mini Cooper, un’autovettura Renault Clio, un’autovettura Honda Prelude. La Procura è convinta che questi beni siano frutto di attività illecite. I beni, acquisiti direttamente al patrimonio dello Stato, saranno gestiti dall’Agenzia Nazionale per la gestione dei beni sequestrati alla mafia per essere destinati a finalità di tipo sociale.

«I risultati di questa indagine – afferma il Maggiore Francesco Mazzotta – testimoniano l’attenzione della Direzione Investigativa Antimafia all’aggressione dei patrimoni illeciti e l’efficacia delle misure di prevenzione patrimoniali nel contrasto alla criminalità organizzata. L’istituto delle misure di prevenzione, anche sulla base dei positivi risultati ottenuti sotto il profilo qualitativo e quantitativo soprattutto negli ultimi decenni, è unanimemente riconosciuto come essenziale e necessario sul terreno di una moderna strategia di lotta alla criminalità. Le misure di prevenzione, prescindendo dalla condanna, sono legate all’indizio della pericolosità sociale di un particolare soggetto in odore di mafia: se si possiede ricchezza ingiustificata allora si viene colpiti proprio in questa ricchezza ingiustificata. Con la nuova normativa che ha consentito l’ampliamento dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione, l’indizio di pericolosità sociale ravvisabile anche ad un periodo successivo  a quello della pena già scontata, l’applicazione della confisca anche agli eredi di chi muore prima o durante l’avvio del procedimento penale, le misure di prevenzione hanno dato dimostrazione agli appartenenti alla criminalità organizzata che il delitto non paga».   

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