Processo Rostagno, si rileggono gli atti in attesa dei primi testi
Sono trecento i testi proposti da sentire ai giudici della Corte di Assise di Trapani, soltanto in pochi sono stati «cancellati» dai giudici dalle rispettive liste presentate da pm, difese e parti civili. Il processo per il delitto di Mauro Rostagno comincia con un percorso in salita certamente per l’alto numero di testi, ma la Corte, presieduta dal giudice Angelo Pellino, ha marcato i tempi: a febbraio, si è deciso, con l’accordo di tutte le parti, pm, i quattro difensori, le 15 parti civili, si terrà un’altra sola udienza, quella del 16 febbraio, dopo quella d’apertura dello scorso 2 febbraio.
Ma a partire dal mese di marzo si farà udienza ogni mercoledì, questo significa che se non ci saranno particolari intoppi entro il prossimo dicembre addirittura il processo potrebbe essere concluso o comunque essere arrivato vicino alle ultime fasi dibattimentali della discussione. Non si potrà mai recuperare il ritardo dei quasi 23 anni, tanti ne sono passati dal delitto, rispetto all’avvio del processo (ma questo secondo i pm è dipeso da false piste e depistaggi che fanno parte dello scenario processuale), ma si potrebbe quasi parlare di un “vero” processo “breve”.
Al termine dell’udienza di mercoledì scorso pochi sono stati i testi depennati, una «riserva» i giudici se la sono tenuta a proposito della citazione, chiesta dalla difesa degli imputati, che si ricorda sono Vincenzo Virga e Vito Mazzara «faccendiere», che si è dichiarato vicino all’ambiente dei servizi segreti, Francesco Elmo (quello che parlò di traffici di armi e scorie passati per il trapanese gestiti da intrecci tra mafia e pezzi deviati delle istituzioni). Dovrebbero essere sentiti alcuni ex politici come il senatore Pietro Pizzo e l’on. Bartolo Pellegrino, si tenterà di avere in aula l’ex guru della Saman Francesco Cardella (si trova in Nicaragua a fare l’ambasciatore per il presidente Robelo) nonchè il suo «braccio destro» factotum Giuseppe Cammisa detto Jupiter, nome che compare anche agli atti dell’indagine sulla morte in Somalia dei giornalisti Rai Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Non verranno sentiti invece i testi che erano stati indicati dalle difese di parte civile costituite per conto della compagna di Mauro Rostagno, Chicca Roveri, e della figlia, Maddalena Rostagno (unica dei familiari presente mercoledì all’avvio del dibattimento) e questo perchè le rispettive liste testi sono state presentate dai difensori oltre il termine previsto. Non è un gran danno comunque perchè molti dei testi citati compaiono in altre liste e in quelle della pubblica accusa.
La massima concentrazione è fatta da investigatori di Polizia e Carabinieri. Ad essere depennata è stata la citazione di tre magistrati, Gianfranco Garofalo, Andrea Rovida e Michele Calvisi, che condussero le indagini sulla cosiddetta pista interna alla Saman per il delitto, ma Garofalo fu anche il procuratore che trasmise gli atti alla Dda di Palermo quando i primi pentiti di mafia cominciarono a «sbottonarsi» sulle responsabilità di Cosa nostra per il delitto e quando fecero la loro apparizione alcune circostanze anomale: come l’interesse di agenti dei servizi segreti per quella indagine, la sparizione dagli archivi dei carabinieri dei brogliacci di intercettazioni.
Il 16 febbraio si comincerà con il sentire il capo della Squadra Mobile che c’era a Trapani nel 1988, Rino Germanà, oggi questore a Forlì, scampato nel 1992 a Mazara ad un agguato tesogli da un agguerrito gruppo di fuoco di killer mafiosi, c’erano Matteo Messina Denaro, Graviano, Leoluca Bagarella. Il suo rapporto portava direttamente alla pista mafiosa, ma fu messo da parte, all’epoca anche dentro la magistratura, capo della Procura era l’oggi scomparso Antonino Coci, si diceva che a Trapani la mafia non esisteva.
Ricordate la famosa vignetta uscita dalla matita di Forattini e pubblicata su Repubblica a pochi giorni dalla strage di mafia del 2 aprile 1985, messa a segno a Pizzolungo e dove morirono Barbara Asta ed i suoi due gemellini di sei anni Giuseppe e Salvatore Asta? Una vignetta dedicata all’allora sindaco democristiano Erasmo Garuccio che intervistato in tv da Enzo Biagi negò l’esistenza della mafia a Trapani. Forattini lo rappresentò con i calzoni calati e una lupara con le canne nel fondo schiena, Garuccio fu soprannominato «Erasmo da Trapani».
Il nome di Garuccio si scopre adesso compare agli atti del processo per il delitto di Mauro Rostagno, indicato nel rapporto che il 10 dicembre 1988 venne presentato al procuratore della Repubblica di Trapani, Antonino Coci, dal vice questore Rino Germanà.
Germanà scriveva nel suo rapporto che Rostagno si era fatto nemici in un preciso ambito di «potere», per il suo «dirompente giornalismo», fatto fuori dagli schemi giornalistici ed informativi del tempo, si era fatto «nemici» nei contesti della politica, politici denunciati, e derisi, per immobilismo e incapacità.
Non è da escludere che nei servizi dedicati a fatti di cronaca, al traffico di droga, alla pubblica corruttela, sia arrivato a toccare fili scoperti delle commistioni tra la mafia, la massoneria ed ambienti politici, «intrecci» che temendo di essere ulteriormente messi alla berlina, e dunque posti in condizione di non potere più operare in modo occulto, avrebbero fatto presente «a chi di dovere» il fastidio per Rostagno e la necessità di zittirlo.
Certamente il nome di Garuccio non viene fatto in questo preciso contesto, ma Germanà si limita ad osservare che furono di Garuccio, quando non era più sindaco, alcune telefonate giunte a Rtc nei giorni in cui Rostagno dalla tv denunciava l’esistenza a Palazzo D’Alì di un «bilancio parallelo»: la teste Rosa Ruggirello riferì alla polizia che in una prima telefonata Garuccio le aveva anticipato il sequestro da parte della magistratura di quella cassetta, la stessa riferì che apprese da Giacomo Pilati, giornalista di Rtc, che parlando di Rostagno con lui, Garuccio lo appellò «quel bastardo con la barba». L’ex sindaco fu sentito dalla polizia, «in stile politico sminuì quei suoi interventi – annota Germanà – ma era chiaro il malessere e l’astio che era nutrito nei confronti di Rostagno». Salvo poi celebrarlo una volta ammazzato.
«Le indagini sull’omicidio di Mauro Rostagno non si sono mai fermate e tutti i filoni investigativi hanno avuto il merito di evidenziare il profilo della figura del giornalista Rostagno. L’accusa cercherà, con questo processo, di mettere un punto fermo sull’esecuzione materiale di Rostagno». Lo ha detto il pm della Dda di Palermo, Gaetano Paci, uno dei rappresentanti dell’accusa del processo per l’omicidio del sociologo-giornalista Mauro Rostagno, ucciso il 26 settembre del 1988 nei pressi di Trapani. Alla sbarra ci sono Vito Mazzara, ritenuto uno degli esecutori materiali e il boss mafioso Vincenzo Virga, ritenuto il mandante.
«Rostagno faceva paura come giornalista, è questa la tesi dell’accusa -ha aggiunto Paci- la vicenda di Rostagno si inserisce in un contesto storico di una Trapani di fine anni ’80 con la presenza di importanti pezzi della politica e dell’imprenditoria collusi con l’organizzazione mafiosa». Oggi si terrà la prima udienza davanti alla Corte d’Assise di Trapani, presieduta da Angelo Bellino.
Alla domanda se il boss latitante Matteo Messina Denaro possa avere avuto un ruolo nell’omicidio, il pm Paci ha risposto: «Nel corso del dibattimento l’accusa cercherà di fare emergere le prove acquisite». E ha aggiunto: «Certamente Vito Mazzara non è stato l’unico esecutore materiale dell’omicidio, che erano almeno tre…». E sulla folta presenza di associazioni che vogliono costituirsi parte civile Paci ha commentato: «L’imponente presenza è molto importante».
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