Mafiosi devoti per scelta e convenienza
«Questa fede non ce l’ho più, io credo nella famiglia, ma continuo a rispettare le tradizioni e la cultura nella quale sono cresciuto». Così parla in un “pizzino” il latitante trapanese, Matteo Messina Denaro. Religione amalgamata a tradizione. Cultura e pensiero mafioso praticato per devozione e convenienza. E poi la reazione della Chiesa, energica e plurale. Insieme alla sociologa Alessandra Dino, studiosa e docente dell’Università di Palermo, autrice di libri su mafia e religione, ripercorriamo questo delicato rapporto. «Sono molti i sacerdoti che hanno intuito con coraggio la centralità di questa battaglia – commenta la Dino – dal Cardinale di Palermo, Pappalardo, al sacerdote di Brancaccio, Don Pino Puglisi, ucciso da Cosa nostra».
Da sempre i mafiosi fanno uno di una simbologia e ritualità prese a prestito dalla religione cattolica. Perchè?
Ci sono molteplici aspetti da considerare per spiegare questo fenomeno. Da un lato si tratta di un dato che può attenere al singolo individuo, all’esigenza umana di credere in qualcosa. Dall’altro c’è l’uso strumentale che la mafia ha fatto della religione cattolica. In questo secondo ambito si è mossa non solo attraverso singole scelte dei mafiosi ma anche partecipando alle principali funzioni religiose, ai funerali, ai momenti pubblici, penso alle processioni, da quella del santuario di Polsi, in Calabria, a quella di Sant’Agata, in Sicilia, la loro presenza è ancora un dato d’attualità.
Per quale ragione i mafiosi hanno individuato questo legame con i valori cattolico – cristiani?
La mafia è un’organizzazione criminale che ha caratteristiche ben precise. Una di queste è il radicamento nel territorio, il consenso della società, il potere e la sua gestione. In questi aspetti c’è stata la necessità, laddove v’è stato un uso strumentale di questi principi religiosi, di utilizzare il ruolo che questi valori hanno nella società, nella vita privata di ciascuno per rafforzare la propria identità, lo spazio pubblico. Per questo, ad esempio, ha scelto riti di affiliazione che sono un incrocio fra quelli massonici e quelli religiosi: per dare una consistenza identitaria alla sua struttura, legittimandone l’agire.
Mentre i mafiosi si “impossessavano” di queste caratteristiche e di questi rituali cattolici, la Chiesa è stata in grado di prendere le distanze?
Si è parlato a lungo di “scomunica” … E’ importante, innanzitutto, sottolineare che ci sono tante esperienze diverse all’interno della Chiesa cattolica che, negli anni, hanno dato risposte differenti rispetto al medesimo problema. In generale, talvolta, è accaduto che una sottovalutazione della complessità del fenomeno, aldilà del singolo mafioso, ha reso meno evidente la presa di distanza che pure c’è stata (dalle parole del cardinale Pappalardo, all’impegno di parroci come Don Pino Puglisi, sino alle parole del Papa Giovanni Paolo II e dell’attuale Ratzinger, al documento della CEI sul Mezzogiorno). Poche volte la Chiesa, nella sua complessità, è riuscita a muoversi in maniera compatta, sui territori come a livello centrale, con euguale consapevolezza dell’organizzazione generale cui si trovava davanti. Questo ha rallentato l’incisività dell’azione che la Chiesa, proprio per la sua capillare presenza nella società, poteva portare avanti contro le mafie.
La “scomunica” dei mafiosi sarebbe una presa di posizione molto forte nella direzione di un cambio di ottica: non solo prestare attenzione alla “pecorella smarrita” ma anche “al danno sociale” che l’organizzazione provoca alla società. Perchè questa pluralità di posizioni all’interno di questa battaglia in linea con i principi religiosi?
Ci sono motivazioni storiche che in qualche modo possono spiegare questa “morbidezza”. La Chiesa, ad esempio, in una prima fase si è fidata delle “apologetiche” sulla mafia come organizzazione in difesa dei più deboli, che dava giustizia in territori su cui lo Stato era assente. A lungo la mafia è riuscita a far passare questa idea di sè, abbinata al fatto di rappresentare un baluardo in difesa dell’avanzare dei valori comunisti. Inoltre l’organizzazione ha sempre messo al centro valori cari alla religione cattolica: la famiglia, il rispetto delle donne, dei bambini. Come sottolineano molti studiosi e religiosi, la mafia ha sempre tenuto in altra considerazione la Chiesa anche per il ruolo economico che questa era capace di ricoprire nella società. Dalle donazioni, alla creazione del consenso, passando per il riciclaggio del denaro sporco, ha utilizzato la struttura religiosa anche per fini tutt’altro che legali.
Oggi i mafiosi di seconda generazione si sono secolarizzati o tengono ancora al centro questo elemento religioso – mistico a rafforzarne l’identità?
E’ ancora presto per dirlo. Siamo in una fase in cui l’organizzazione criminale attraversa profondi cambiamenti. Nella società è in atto un processo di secolarizzazione che la stessa mafia riflette e dall’altra parte si sta verificando una radicalizzazione dei simboli, delle appartenenze alle religioni. Possiamo ipotizzare che molto dipenderà dalla strada che le mafie sceglieranno di percorrere. Se si trasformeranno in organizzazioni criminali non necessiteranno più di questa connotazione religiosa. Se invece rimarranno “mafia” faranno ancora un uso strumentale dei simboli e dei rituali religiosi. Come scrive Matteo Messina Denaro in un “pizzino”: «Questa fede non ce l’ho più, io credo nella famiglia, ma continuo a rispettare le tradizioni e la cultura nella quale sono cresciuto».
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