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Le strade della conversione

Di Stefano Fantino il . Basilicata

Di storie, in tanti anni, Marcello Cozzi ne ha sentite, viste vissute a centinaia. Nella fredda e oscura Potenza dei misteri la sua attività di sacerdote l’ha portato a incontrare le vite di persone che con la mafia hanno più volte intrecciato rapporti molto più che occasionali. Ma sopratutto a non accettare passivamente quello che recepiva, a farne, invece, sempre un punto di partenza, dal quale iniziare a costruire percorsi di cambiamento.

Uno grande, don Marcello, lo vedrà materializzarsi nella sua città, tra qualche mese, quando per il 21 marzo voluto da Libera per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie, sfileranno proprio a Potenza le persone che ogni anno non si rassegnano alla realtà. E cercano spiragli di luce e, insieme di verità. Chi, timidamente, provasse a sondare l’animo di questo giovane prete lucano, circa la nascita del suo impegno antimafia, sentirebbe una sola risposta: nasce tutto dal contatto con le persone. Così è capitato anche a noi: le storie particolari, i racconti di difficoltà, di sfruttamento, di solitudine.

Sono momenti bui che si affastellano nella memoria e che chiedono non solo aiuto , ma comprensione. Chi si nasconde dietro un giovane eroinomane, dietro una famiglia vittima di usura? Un giovane prete che ormai quindici anni fa ha fatto degli incontri che lo hanno trasformato. Le richieste di aiuto erano anche voglia, da parte di quelle persone, di raccontare cosa ci sta dietro, all’usura, alla droga. La capacità di impegnarsi sta nel porsi una domanda, “cosa posso fare?”, per evitare che ciò che è già accaduto possa ripetersi. Nella dimenticata Basilicata ogni usurato, ogni tossicodipendente, è il simbolo di un malessere oscuro, ignoto. Provare a raccontarlo è stato l’inizio dell’impegno di don Marcello.

Ad aiutarlo, probabilmente, anche l’essere un sacerdote. «Il mio essere prete è per loro una garanzia- ci racconta don Cozzi – un aiuto per avvicinarsi e raccontare la loro esperienza in maniera più semplice rispetto a farlo con un magistrato»: sono tanti in questi anni ad essersi rivolti a don Marcello non solo come sfogo personale, ma ritrovando nel sacerdote anche il fulcro su cui imperniare l’inizio di una nuova vita. L’impegno di un prete nel campo dell’antimafia è soprattutto questo per don Cozzi, avere quella capacità di avvicinarsi alle persone: «Si tratta di un richiamo agli altri a quelli che magari non lo fanno, e una provocazione positiva per la Chiesa tutta».

Un invito che viene dalla gente alla Chiesa, quello di condividere la loro vita, evitando di rintanarsi tra le colonne del tempio: «Queste voci hanno una duplice valenza, chiedono di sentirsi accettati, accolti, che la Chiesa condivida la fatica, la polvere delle strade, ma chiedono anche la speranza, il coraggio e la libertà, quella di dire, di denunciare». Un’azione, quella di Cozzi e di altri sacerdoti, che funge da stimolo continuo anche per la realtà della Chiesa Cattolica dove accanto ai vari esempi, esistono anche «tanti che non fanno niente» per contrastare quotidianamente lo strapotere mafioso. Un pungolo costante è necessario, affinché la Chiesa possa fare di più evitando di arroccarsi. Don Cozzi di certo non evita posizioni, anche scomode.

Non solo nella denuncia, costante, che da anni fa del malaffare in Lucania. Nella sua vita, ad esempio, sono tanti i collaboratori di giustizia che ha conosciuto, che con lui hanno voluto aprirsi. «Loro ti cercano perché sei un prete- ci racconta- perché vogliono un rapporto che davvero ti apra percorsi differenti». Un percorso, quello coi collaboratori, che don Cozzi porta avanti silenziosamente, nel rispetto delle vittime, ma cercando, quindi, anche di affiancare i carnefici. Per suscitare una presa di coscienza, del male fatto. E della possibilità di assaporare la luce del cambiamento. La radicalità di Don Cozzi vive di due facce. Quella, dura e battagliera, che non fa sconti a nessuno nella denuncia e quella, altrettanto dura e schietta nel momento del pentimento, prima dell’inizio di un nuovo percorso.

La figura del prete vive anche di questa forza, di questo ruolo che potrebbe sicuramente svolgere una azione cruciale contro le mafie se solo si avesse la volontà e il coraggio di dire, con ancora più forza, «Convertitevi!», se si volesse davvero dare l’esempio.«Confischiamo gli affiliati» tuona don Cozzi: Contro lo strapotere delle mafie, non solo la confisca dei loro beni materiali, ma anche un attacco diretto ai loro affiliati, ai fiancheggiatori. Una strada che la Chiesa potrebbe aiutare a percorrere.

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