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Trattativa Stato – camorra, proseguono le indagini

Di Giorgio Mottola* il . Campania

Per un lungo periodo, quando il Commissariato per l’emergenza rifiuti aveva bisogno di costruire in Campania una discarica, finiva per realizzarla quasi sempre sui terreni del clan dei Casalesi. E, secondo i magistrati, non necessariamente si tratterebbe di una semplice coincidenza. La compravendita dei suoli potrebbe infatti rientrare nelle contropartite che Michele Zagaria avrebbe ottenuto in conseguenza della trattativa tra Stato e camorra, su cui il pm Catello Maresca della Procura di Napoli ha ufficialmente aperto un’inchiesta.

Il gioco era semplice. Qualcuno indicava agli uomini del clan i terreni che interessavano al Commissariato. Nel giro di pochi giorni, i suoli venivano acquistati per quattro soldi da ditte nell’orbita di Zagaria e rivendute (o affittate) a prezzi esorbitanti alla struttura commissariale. In alcuni casi l’atto di acquisto e quello di vendita non solo riportano in calce la stessa data, ma anche la firma del medesimo studio notarile.

Non solo. Stando a quanto riferiscono gli inquirenti, il consulente finanzario di alcune di queste società intestatarie dei suoli sarebbe un commercialista casertano già coinvolto in alcuni procedimenti giudiziari, con l’accusa di essere stato per anni al servizio di Pasquale Zagaria, fratello del boss Michele e mente imprenditoriale della famiglia. Si è trattato di un giro d’affari estremamente proficuo. La vendita dei terreni avrebbe fruttato al clan del superlatitante alcune decine di milioni di euro. Il Commissariato per l’emergenza rifiuti avrebbe pagato i suoli  fino a 22 volte la cifra che i Casalesi avevano sborsato per comprarli. Soldi facili e sicuri, insomma.

Nel corso degli ultimi dieci anni il numero di discariche e siti di stoccaggio presenti nel territorio della pianura casertana è cresciuto a dismisura e in modo assolutamente sproporzionato rispetto a quanto si è verificato nelle altre province. In un fazzoletto di terra di pochi chilometri quadrati, tra i Comuni di Santa Maria la Fossa e San Tammaro, si trovano gli impianti di Ferrandelle, Parco Saurino, San Tammaro, le tre discariche di Maruzzella e, se non fosse stato per la Procura di Santa Maria Capua Vetere che ne ha bloccato la costruzione, ci sarebbe dovuto essere anche un termovalorizzatore.

Della presenza camorristica ci sono persino i segni ben visibili: a fianco di Parco Saurino stanno ancora in piedi le rovine di una cava messo sotto sequestro anni fa, che sui silos porta l’intestazione BaSchi, acronimo di Bardellino e Schiavone. Anche se l’agricoltura e l’allevamento zootecnico della zona hanno subito danni irreversibili, in nessun caso vi è stata un’opposizione delle popolazioni locali quando è stata decisa la costruzione di nuovi impianti.

Altrove sono state erette barricate, la gente ha dato vita a una resistenza, in alcuni casi anche violenta, per contrastare le decisioni del Commissariato. Qui, in provincia di Caserta, i vari commissari che si sono succeduti hanno potuto lavorare sempre nella massima tranquillità. Una pace sociale che sarebbe stata garantita in prima persona da Michele Zagaria, qualora la trattativa tra camorra, servizi segreti e Stato dovesse essere dimostrata dalla indagini. Negli ultimi dieci anni, del resto, il Commissariato per l’emergenza rifiuti si è rivelato tutt’altro che un argine adeguato contro le infiltrazioni della camorra nel settore dell’immondizia.

«In presenza di regimi commissariali di lungo periodo (…) la pervasività della criminalità organizzata nelle diverse fasi del ciclo dei rifiuti può rappresentare un rischio ulteriore cui dedicare particolare attenzione», si legge nella relazione finale della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 2006, presieduta da Paolo Russo.

Un anno dopo, l’allarme si tramuta in condanna: «Occorre, in primo luogo, ribadire il giudizio incondizionatamente negativo sull’apparato commissariale, le cui inefficienze strutturali si sono rivelate, lungo questi anni, di entità tale da pregiudicarne, in modo irreversibile, operatività ed efficacia», è l’accusa della relazione Barbieri del 2007.  Le recenti inchieste della magistratura gettano un’ombra anche sulle funzioni di controllo che la Prefettura di Caserta avrebbe dovuto garantire in quel periodo.

Lo scorso luglio i pm Ardituro e Del Gaudio hanno mandato un avviso di garanzia a Paolino Maddaloni, commissario prefettizio al Comune di Caserta nel 2008 e attualmente prefetto a Frosinone. Secondo i magistrati avrebbe condizionato alcune gare di appalto, favorendo le ditte dei Casalesi.

Molto discusso è anche l’operato di Maria Elena Stasi, che fino al 2008 ha ricoperto l’incarico di prefetto di Caserta e che oggi siede in Parlamento tra gli scranni del Pdl. Non figura in alcuna indagine, ma sarebbe stata lei a indicare a Bertolaso, per il ruolo di sub commissario all’emergenza, Claudio De Blasio, poi finito in un’inchiesta della magistratura per i suoi presunti rapporti con l’Eco 4, società controllata dai Casalesi.

Il nome della Stasi è entrato anche nelle vicende relative a Nicola Cosentino. Grazie al suo intervento da prefetto sarebbe stato concesso all’Aversana Petroli, società della famiglia dell’ex sottosegretario, il certificato antimafia. Fino a quel momento negato a causa dei rapporti di parentela con membri del clan dei Casalesi.

* da Terra

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