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L’imperiese tra due fuochi

Di Stefano Fantino il . Liguria

Non si è ancora sopita l’eco relativa alla notizia del potenziale attentato, a scopo dimostrativo, architettato da due persone, padre e figlio, arrestati negli scorsi giorni, che il Ponente Ligure ritorna, sprezzante, ad occupare la cronaca. Il motivo, chi ci vive lo sa e lo dà ormai per scontato, altra cosa per chi è abituato alle immagini da cartolina, ruota sempre intorno a quel termine “ ‘ndrangheta” che  negli ultimi mesi ha fatto capolino per decine di volte nei giornali, nelle strade e nella conversazione tra le gente di questo estremo lembo d’Italia. Non a caso.

Se siamo qui, tesi a raccogliere l’ennesima novità giornalistica, è per delle ragioni ben precise. In estrema sintesi sta emergendo, in maniera decisa, il contorno inquietante di una presenza mafiosa da decenni nota ma mai così indagata in Riviera. Sui risultati che potranno giungere ancora bocche cucite, ma per chi ha  vissuto anni di nebbia e negazionismo, già questi sono risultati. In fondo, a ben vedere, non sono cose da tutti i giorni, nel Nord Italia. Partiamo da due luoghi, Bordighera e Imperia, due storie che in questi giorni accendono più di un faro sul contesto ligure.

A Bordighera, ridente comune costiero, la città delle Palme per i turisti, per mesi ha operato una commissione prefettizia, che ha effettuato l’accesso a Villa Garnier, chiudendo dopo molte settimane il suo operato volto ad appurare l’infiltrazione, o anche il solo condizionamento, della giunta rivierasca da parte di alcune famiglie che si pensando collegate alle ‘ndrine locali.

Ora il dossier redatto dalla commissione, dopo esser transitato sulla scrivania del prefetto imperiese Di Menna ha preso la strada di Roma. Destinazione Viminale, dove il ministro Maroni, cui spetta la decisione, valuterà il lavoro prefettizio. Nel frattempo è esplosa nei giorni scorsi l’ennesima “bomba giudiziaria”. A Imperia, capoluogo di provincia, il presidente del Tribunale Gianfranco Boccalatte è indagato, insieme al suo autista: corruzione in atti giudiziari e millantato credito. A lavoro il procuratore torinese Gian Carlo Caselli che cercherà di appurare un a eventualità inquietante: se Boccalatte fosse o meno nelle condizioni di poter mitigare alcune misure di pena inflitte a pregiudicati della ‘ndrangheta, e se, in effetti lo avesse fatto.

Caos a Imperia

Due giorni intensi per Gianfranco Boccalatte. Su di lui, la procura di Torino che nei giorni scorsi aveva arrestato il suo autista Giuseppe Fasolo, ha voluto vedere chiaro. Secondo l’autista del presidente del Tribunale, Boccalatte avrebbe potuto dare una mano per attenuare le misure di prevenzione. In sostanza denaro per avere sconti. L’indagine, coordinata dal procuratore Caselli, sono volte ad appurare sostanzialmente questo: se sussiste una corruzione in atti giudiziari, perpetrata dal Tribunale imperiese per alleviare lo status di alcuni arrestati. Nei giorni scorsi proprio il famoso magistrato alessandrino aveva confermato gli accertamenti nei confronti di Boccalatte: «Nei confronti del presidente si è proceduto a vari accertamenti – confermava Caselli -, per l’esecuzione dei quali il presidente ha prestato ampia collaborazione».  Agli inquirenti il nome di Boccalatte tornava dopo che era stato registrato tempo fa, quando i Carabinieri imperiesi avevano raccolto informazioni su presunti contatti tra l’autista di Boccalatte, Fasolo appunto, ed alcuni uomini in odore di ‘ndrangheta. L’autista, accusato di millantato credito, avrebbe sostenuto di essere nelle condizioni di poter calmierare alcune misure di pena, in particolare garantendo sconti consistenti a pregiudicati sotto sorveglianza speciale.

Ora per Boccalatte sono arrivati gli interrogatori, due, di molte ore. Su quello che il presidente ha dichiarato è sceso ovviamente il doveroso riserbo e sono stati secretati i verbali di interrogatorio del presidente imperiese. «Il dottor Boccalatte ha risposto a tutti gli addebiti, ma il contenuto non è al momento possibile rivelarlo – ha dichiarato l’avvocato Vincenzo Icardi. Intanto a Torino Fasolo, ha finito il suo primo interrogatorio e ne sarà disposto uno nuovo nei prossimi giorni. La procura torinese ha avviato e continuerà un confronto tra le versioni fornite:«E’ stato svolto un confronto tra le versioni fornite da Boccalatte e Fasolo e il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali – ha detto il procuratore Caselli – è giudicato interessante».

La paura di un nuovo “caso Fondi”

Dal capoluogo spostiamoci a Bordighera. Ieri mattina l’avvocato Marco Bosio, difensore delle famiglie Barilaro-Pellegrino, implicate nel caso che ha portato all’insediamento della commissione d’accesso,  ha infatti depositato a Genova il ricorso al provvedimento con il quale il tribunale del Riesame aveva disposto la carcerazione per Francesco  Barilaro, Maurizio Pellegrino e Francesco Valenti, i tre imputati che al termine dell’udienza preliminare dello scorso dicembre avevano ottenuto dal giudice Eduardo Bracco una sostanziale modifica della misura cautelare. Barilaro era stato rilasciato e gli altri due avevano ottenuto il regime di detenzione domiciliare.

Mentre prosegue giudiziariamente il caso Bordighera, dal punto di vista amministrativo manca solo la volontà di prendere una decisione, rispetto a quando emerge dalla commissione. Capire dunque se quanto l’indagine della procura di Sanremo sui condizionamenti della famiglia Pellegrino sulla politica locale sia o meno suffragato dai dati e dagli elementi raccolti dai tre commissari nominati dal prefetto Di Menna. Nei giorni scorsi si erano riunito il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza pubblica, un incontro dove erano presenti, oltre al Prefetto, anche il procuratore di Sanremo, Roberto Cavallone e i vertici provinciali di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, insieme al sindaco di Imperia, Paolo Strescino e il Presidente della Provincia, Luigi Sappa, esponenti Pdl. L’ordine del giorno era relativo alla relazione prefettizia.

Ora, la relazione ufficialmente secretata, anche se invero nota ai partecipanti alla riunione, tra cui alcuni esponenti politici, fa tappa, decisiva e finale, sulla scrivania del ministro Maroni. Chi ha memoria ricorderà negli scorsi anni il caso Fondi, comune pontino, che il ministro non decise di sciogliere. Il prefetto che lavorò al caso  valutò come necessario lo scioglimento. Ora Di Menna invia a Maroni il dossier. Nulla trapela sulla posizione assunta dal prefetto. In attesa di rivelazioni sui contenuti della relazione, la palla passa al ministro dell’Interno.

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