Trapani: sigilli al tesoro di Messina Denaro
Il boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro si è pulito le mani dal sangue dei morti ammazzati e ogni indagine contro la sua cosca dimostra come ha saputo bene indossare la grisaglia dell’imprenditore. L’anno scorso la Polizia, con in testa la Squadra Mobile di Trapani, diretta dal neo promosso primo dirigente Giuseppe Linares, ha saputo colpire l’organizzazione dei favoreggiatori del capo mafia, con l’operazione denominata «Golem», adesso la Guardia di Finanza ha fatto i conti in tasca agli indagati e su richiesta della Procura antimafia di Palermo il Tribunale delle Misure di prevenzione di Trapani ha emesso l’ordinanza con la quale è stato sequestrato un patrimonio da 22 milioni di euro.
I finanzieri del Gico, del nucleo di polizia tributaria di Palermo e del Servizio Centrale d’Investigazione sulla criminalità organizzata di Roma, hanno dimostrato che il patrimonio detenuto da alcuni degli indagati risultava essere «spropositato» rispetto ai redditi dichiarati, insomma tra le loro mani era sicuramente passato altro denaro, quello non dichiarato, quello che di solito serve a riempire le casseforti della mafia, in questo caso quella «potente» del super boss Matteo Messina Denaro. Latitante dal 1993, il giovane rampante mafioso se riesce ad essere ancora «imprendibile» lo è per questa rete di imprese e imprenditori creata, che ha garantito ricchezze, gestione di aziende, la cosiddetta «Supercosa», cioè una mafia che si muove ad un livello più alto e riservato rispetto a quella degli «uomini d’onore», la cosiddetta area «grigia», dei «colletti bianchi» e dei professionisti.
La mafia che «non si vede» e che «non turba» perchè non commette delitti, ma distribuisce «favori», come l’assunzione di personale. L’altra mafia, quella che intimidisce le imprese con il fuoco per esempio, o con le armi, per imporre il «pizzo» non significa che ha dismesso le sue attività e non c’è più, c’è e spesso si fa sentire ancora. Perchè di soldi alla mafia «sommersa» ne servono tanti e quindi il racket c’è sempre. C’è il cugino del boss latitante tra i soggetti che si sono visti «espropriati» dei propri beni, quel Mario Messina Denaro, 59 anni, che nelle intercettazioni è stato sentito occuparsi di una (presunta) estorsione, parlava al telefono di appuntamenti per «fare accoppiare i cani» e di «bollette» da ritirare, solo che poi seguendolo i poliziotti pare non abbiano mai visto «cani accoppiarsi» o «bollette» ritirate, ma incontri tra soggetti che cercavano in tutti i modi di appartarsi, e spesso c’era lui, Mario Messina Denaro, titolare di un caseificio, finito ora sequestrato.
Un decennio addietro durante un’altra indagine i poliziotti della Squadra Mobile di Trapani capirono che quell’imprenditore «non era uno qualsiasi». Aveva subito un furto e due «mafiosi» furono sentiti parlare di quell’episodio, che «bisognava fare «indagini» su chi era stato, perchè «quello lì era “suo cugino”: «Vedi che gli hanno “scassato” lì a Mario! Gli hanno rubato un bel pò di formaggi cose…“a suo cugino!”. Lo hai capito?».
Destinatari del provvedimento di sequestro sono anche, Francesco Luppino, campobellese, 55 anni, il famoso «zio Franco», quello che su ordine di Messina Denaro incontrava, quando ancora erano latitanti, i Lo Piccolo, Sandro e Salvatore, padre e figlio: Vito Barruzza, 47 anni: l’anziano capo mafia di Campobello, Nanai Bonafede, 79 anni; ed ancora i campobellese Salvatore Dell’Aquila, 50 anni, Franco Indelicato, 43 anni. Colpito dal sequestro anche Leonardo Ferrante, 68 anni, sarebbe stata una «longa manus» dei Messina Denaro.
I beni sottoposti a sequestro si trovano quasi tutti tra Castelvetrano, Campobello e Partanna, ma anche a Mendicino (Cosenza) e a Piacenza: 5 immobili e1 fabbricato industriale riconducibili a Mario Messina Denaro; 4 immobili e diversi terreni nella proprietà di Leonardo Ferrante; 2 immobili, di cui 1 a destinazione industriale, e 1 terreno, nel possesso di Francesco Luppino; 1 immobile e numerosi terreni appartenenti a Salvatore Dell’Aquila; 2 immobili e diversi terreni intestati a Leonardo Bonafede; 2 appartamenti, uno a Piacenza, nella disponibilità di Vito Angelo Barruzza.
Il sequestro ha colpito società e aziende operanti nel settore della lavorazione e trasformazione di prodotti agricoli, e tra queste c’è l’oleificio di Campobello di Mazara, «Fontane d’Oro» che sarebbe stato usato dalla cerchia dei favoreggiatori di Matteo Messina Denaro per i «summit» o per scambiarsi i «pizzini» con i messaggi del boss. Sequestrata anche la ditta «Forte Benvenuta» (prodotti caseari), la cooperativa «Tractor market» (vendita mezzi agricoli). Sequestrati, inoltre, conti correnti e depositi bancari di vario genere.
Trackback dal tuo sito.