Cuffaro, aspettando la sentenza
Dietro front. Lo chiede il sostituto procuratore generale, Giovanni Galati, ai giudici della Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione in merito al processo “talpe alla Dda”. La richiesta prevede di ridurre la pena all’ex presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro, condannato in appello a 7 anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e rivelazione di segreto istruttorio. In attesa di sapere cosa deciderà la Corte suprema, l”avvocato di Cuffaro, Nino Mormino, ha già affermato: «Noi daremo battaglia fino alla fine con tutti i nostri motivi di ricorso, non solo su quelli relativi all’aggravante mafiosa: ma il giudizio del Pg, che ha ritenuto inesistente il favoreggiamento a Cosa Nostra, è già un bel risultato». Ricordiamo i fatti di cui è accusato l’attuale senatore della Repubblica e membro della Commissione di Vigilanza Rai.
I fatti e i processi
Cuffaro, secondo le motivazioni contenute nella sentenza d’appello del processo, “talpe alla Dda” avrebbe favorito una fuga di notizie in merito ad indagini in corso sui rapporti tra mafia e politica a Palermo. Un meccanismo che avrebbe coinvolto Antonio Borzacchelli, ex maresciallo dei carabinieri e poi deputato regionale per l’Udc, Giorgio Riolo, carabiniere in forza al Ros, e Giuseppe Ciuro, maresciallo della Finanza, tra i più stretti collaboratori dei magistrati della Dda palermitana. Il 5 novembre 2003 in manette finirono Ciuro, Riolo e l’ingegnere Aiello (ritenuto prestanome del boss Bernardo Provenzano e manager della Sanità in Sicilia). Nel gennaio del 2008 la sentenza di primo grado condannò tutti; Cuffaro, in particolare, a cinque anni di reclusione ma i giudici non gli attribuirono il favoreggiamento di Cosa Nostra. Dopo molte polemiche e mozioni di sfiducia da parte dell’opposizione l’ex presidente lasciò la Regione e l’Udc lo “promuoverà” per un posto in Parlamento come senatore. La condanna in appello arriva nel gennaio del 2010 e – a differenza del processo di primo grado – viene contestato al politico la “consapevolezza” di esercitare un’azione di favoreggiamento anche di Cosa nostra. Questo porta il politico a lasciare tutti gli incarichi di partito ma non il suo posto al Senato, inoltre non abbandona la partita e attraverso i suoi legali fa ricorso. Mentre in parallelo, sempre nel capoluogo siciliano si sta svolgendo un secondo processo che lo vede imputato con queste ed altre accuse per concorso esterno in associazione mafiosa. A seguito di racconti di collaboratori di giustizia, fra i quali Francesco Campanella, si delineano, secondo i pm, i contorni di un “patto” politico – elettorale con i boss descritto come qualcosa in più di un rapporto sporadico: il sostituto procuratore Nino Di Matteo, che rappresenta in aula la pubblica accusa con il collega Francesco Del Bene, ha chiuso la sua requisitoria nel giugno scorso, chiedendo dieci anni di condanna per Cuffaro e presentando 27 faldoni con le trascrizione peritali di tutte le intercettazioni che riguardano l’ex presidente della Regione siciliana e fatti che – scrivono i pm – sino ora non sono mai stati contestati. La sentenza di primo grado è prevista per il prossimo 16 febbraio.
La sentenza in Cassazione
Oggi il procuratore generale, Giovanni Galati ha sostenuto che relativamente al favoreggiamento nei confronti di Mimmo Miceli e di Guttadauro da parte di Cuffaro invece «non è configurabile l’aggravante mafiosa: siccome il fatto risale al 2001, risultano decorsi i termini di prescrizione». Rimarrebbe in piedi, soltanto, il favoreggiamento, consumato nel 2001, nei confronti di Aiello. Un reato senza aggravanti e che – se così dovessero andare le cose – verrà prescritto il prossimo aprile. Ecco dunque come potrebbero subire un dietro front le accuse mosse all’ex uomo dell’Udc in Sicilia, Se la suprema Corte dovesse accogliere le richieste della pubblica accusa, la corte d’appello di Palermo dovrà rideterminare notevolmente al ribasso la pena nei confronti del senatore. Anche in caso di conferma, difficilmente si apriranno le porte del carcere per Totò “Vasa vasa”. Aspettando la sentenza il senatore si dice «sereno ma fiducioso ribadendo la fiducia nelle istituzioni, in tutta la magistratura” dando “per scontata la buona fede dei pubblici ministeri».
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