Le colpe dei politici
Nonostante l’impegno che associazioni, tra le quali Libera, gruppi di cittadini, forze dell’ordine e magistratura stanno ponendo nella lotta alla criminalità organizzata, questa permane potente e pervasiva. Le cosche mafiose italiane sono riuscite persino ad oltrepassare i confini nazionali, inserendosi “sapientemente” nel processo di globalizzazione, nel quale hanno individuato nuove opportunità per ampliare le proprie ramificazioni ed i propri interessi. Pesanti, a mio parere, permangono le responsabilità di buona parte della classe politica italiana in termini di contrasto alla mafia: spesso, soprattutto nelle realtà meridionali, è il mondo politico ad aver creato l’ humus utile alle mafie per incrementare le proprie potenzialità. Sono i politici che preoccupandosi della cura dei propri interessi, a discapito di quelli della collettività, hanno creato quel sistema di corruzione e di malaffare nel quale le mafie sono riuscite a penetrare.
Ed è la politica, inefficace e corrotta, che ha finito col creare bisogni ed apatia in molti cittadini, obbligandoli quasi sempre ad assuefarsi all’omertà della quale la criminalità organizzata si è costantemente avvalsa per aumentare le proprie potenzialità e pervasività. I politici si servono spesso delle parole “legalità” e “antimafia”, senza però riuscire ad indossarne le vesti. Anzi, in particolare nel Sud ed ancor più in Calabria, la criminalità mafiosa è servita da alibi alla classe politica per giustificare la mancanza di sviluppo del territorio. Basterebbe pensare all’ingente somma di finanziamenti elargiti nel corso degli anni con fondi europei, nazionali e regionali, per creare lo sviluppo nelle regioni meridionali e che, invece ci si accorge essere finiti ad incrementare l’impero economico delle cosche mafiose, ma anche ad arricchire questo o quell’imprenditore, questo o quel politico.
E’ di giovedì scorso la notizia apparsa su Wikileaks, del dispaccio, lanciato nel 2008, del diplomatico Truhn, console Usa a Napoli, nel quale si afferma che «miliardi di dollari stanziati dai governi dell’Unione Europea finiscono nelle mani delle organizzazioni criminali» ed aggiunge «i politici italiani non combattono la mafia». Ritengo che quanto da me affermato negli anni sui rapporti tra mafia e politica sia, appunto, supportato dalle dichiarazioni del diplomatico Truhn, che se pur del 2008 rimangono attualissime, ma anche dalle varie inchieste giudiziarie promosse nei mesi scorsi dai Magistrati delle Dda di Reggio Calabria e Milano. Sono proprio le inchieste giudiziarie appena citate che, tra l’altro, hanno fatto emergere l’esistenza dei rapporti tra mafia e politica anche nelle Regioni del Nord, le quali negli anni si sono sentite immuni da queste presenze e non hanno creato in tempo gli “anticorpi” necessari a fronteggiare il tutto.
Ed ancora, dalle indagini che hanno portato alle citate inchieste giudiziarie è persino emerso che, oggi, sarebbero addirittura i politici a recarsi personalmente dai boss mafiosi per acquisire il consenso elettorale, impegnandosi logicamente a contribuire nell’esaudire poi i desiderata delle logiche mafiose. Al di là, quindi, dei proclami che spesso i vari uomini politici diramano sulla bontà della loro attività di contrasto al crimine organizzato, rimangono poi le logiche delle quali ci si avvale “dietro le quinte”, per condividere gli affari e gli interessi con quella parte mafiosa che “imborghesitasi” non appare secondo la sua reale essenza. Il connubio tra politica e mafia potrà essere infranto se il mondo politico riuscirà a trovare la volontà ed il coraggio di improntare sull’etica e sulla morale il proprio comportamento e la propria attività.
*Capogruppo Fli, Commissione parlamentare antimafia
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