I due fronti della Commissione Antimafia
La Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta da Giuseppe Pisanu, è impegnata dall’estate scorsa su due fronti che investono direttamente la politica. Uno chiama in causa il presente, dopo il duro atto d’accusa lanciato in ottobre da Pisanu, che, senza rivelarne i nomi, denunciava come nelle ultime elezioni amministrative le liste fossero «gremite di persone non degne». Soprattutto consiglieri e assessori regionali, provinciali e comunali che hanno collegamenti con clan mafiosi o con quella “zona grigia” di complicità che circonda interessi criminali. Insieme, però, Pisanu denunciava la lacunosa collaborazione dei prefetti, alcuni dei quali, come quello di Milano, non avevano consegnato i dati richiesti, così come prescritto dallo stesso ministro dell’Interno.
Da allora, dopo mesi di dure polemiche, i prefetti in questione hanno completato il lavoro richiesto, ma dei nomi delle “persone indegne” (circa 40) non c’è ancora traccia, anche se ne sono circolati alcuni ed è stato confermato che appartengono in gran parte allo schieramento politico di maggioranza. Lo stesso Pisanu, incalzato da pressioni provenienti dal suo stesso partito e presumibilmente da ambienti governativi, dopo aver lanciato clamorosamente il sasso nello stagno ha preferito finora non dare seguito alle richieste delle opposizioni e delle associazioni antimafia, forti del codice etico che la stessa Commissione ha da tempo indicato ai partiti e che rimane di fatto inattuato.
Il secondo fronte, che coinvolge una fase drammatica della recente vicenda politica della Repubblica, di cui ha tracciato il panorama per molti versi incerto e disastroso in cui stiamo vivendo, sono gli attentati del ’92 –‘93 in Sicilia, a Milano, Firenze e Roma, che hanno sullo sfondo le trattative di pezzi dello Stato e di altri referenti ancora nell’ombra con l’impero mafioso dei corleonesi di Riina e Provenzano. Anche su questo, dopo le rivelazioni del mafioso pentito Spatuzza e di Massimo Ciancimino, tuttora al vaglio di tre Procure , è stato lo stesso Pisanu a fare pubblicamente clamorose ammissioni sui misteri di quella stagione, che ha indotto la Commissione ad avviare un’approfondita indagine ancora in svolgimento. In particolare la Commissione ha vagliato le rivelazioni dell’allora ministro della Giustizia Conso, che ha dichiarato di avere personalmente e in piena autonomia deciso la cessazione del carcere duro previsto dal 41 bis per numerosi mafiosi.
Si parlava di 140 casi, ma successive dichiarazioni portarono questa cifra, già di per sé rilevante, a oltre 500. Le audizioni e le indagini compiute dalla Commissione hanno confermato su questo punto la cifra iniziale, ma resta il nodo centrale: era questa concessione parte della trattativa e ci furono pressioni da parte dei servizi segreti e soprattutto di personaggi politici allora al potere o di eventuali altri referenti esterni ? Qui si è acceso all’interno della Commissione lo scontro politico, fra il Pdl che cerca di fatto di scaricare ogni responsabilità sui dirigenti politici dell’epoca e in particolare sull’allora premier Ciampi e sul suo ministro dell’Interno Scalfaro e i rappresentanti delle opposizioni, come la capogruppo del Pd, Laura Garavini, che ha chiesto l’audizione di Silvio Berlusconi, nella sua veste di Presidente del Consiglio nel ’94.
Presente e passato della Repubblica dunque si saldano, perché è certamente da quella stagione terribile che si è via via sviluppato il cancro del rapporto malato fra la cattiva politica, intesa come esercizio del potere e dominio degli interessi privati e di casta e la palude affaristico-mafiosa che consente al crimine organizzato, attraverso la corruzione e il voto di scambio, di crescere invadendo l’economia, inquinando sfere dello Stato, lasciando nell’oscurità gli italiani.
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