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Puglia, i boss fanno affari con la tratta

Di Chiara Spagnolo il . Puglia

Non solo usura ed estorsioni. La criminalità organizzata pugliese torna a puntare sulla tratta di esseri umani. E mentre l’inverno incalza non si fermano gli arrivi di disperati sulle coste del Salento, dove nel 2010 appena finito sono arrivati più di 1500 profughi. L’ultimo episodio è avvenuto proprio il 31 dicembre, tragico anello di congiunzione tra l’anno appena trascorso e quello da battezzare, sinistra premonizione di quanto deve ancora accadere. Perché quello degli sbarchi, stando alle previsioni delle Forze dell’ordine, è un fenomeno destinato ad aumentare nel futuro prossimo. Lo si deduce da un intenso lavoro di intelligence svolto nei paesi d’origine dei profughi e dai racconti dei profughi stessi, che parlano di amici e parenti pronti a partire per l’Italia. L’organizzazione criminale che gestisce la tratta, a quanto pare, è più forte e attiva che mai.

Come una piovra transnazionale, su cui hanno puntato gli occhi le Procure di diverse città italiane (da Lecce a Catanzaro, passando per Catania, Reggio Calabria, Bologna, Milano) con il coordinamento della Direzione nazionale antimafia, che non ha dubbi sull’entità del business messo su dai mercanti di uomini. Il sistema che gestisce i viaggi della speranza è complesso, perché si sviluppa in diversi Stati e continenti. I viaggi partono da Paesi in guerra, come l’Iraq o l’Afghanistan, ma anche dall’Iran, dalla Siria, teatro di persecuzioni etniche e politiche, poi si sviluppa nei territori da attraversare fino al mare, Grecia o Turchia, dove le orde di disperati vengono caricate su gommoni e barche a vela.

Si punta verso l’Italia, Puglia o Calabria, in base all’appoggio fornito dalla criminalità italiana a chi organizza il viaggio. L’aiuto della malavita nostrana è elemento indispensabile per la riuscita dello sbarco, e anche per la fuga degli scafisti e il loro ritorno in patria. Per i profughi, invece, nessun aiuto, ma solo ulteriori dazi da pagare per proseguire il viaggio alla volta del Nord Italia o del Centro Europa. Al Sud, infatti, questi stranieri venuti dal mare non si fermano quasi mai: dopo aver ottenuto lo status di rifugiati politici puntano infatti alla Germania, alla Svizzera, all’Olanda, dove già vivono familiari e amici.

Proprio la Germania era il sogno di Walid, curdo di appena 29 anni, deceduto durante il viaggio che a metà dicembre avrebbe dovuto portarlo in Puglia insieme ad altri trenta extracomunitari. Erano i giorni più freddi dell’inverno. L’Adriatico una massa nera su cui incombeva un’aria gelata. Walid ha viaggiato su una barca a vela che puntava verso il Salento, ma la terra non l’ha vista perché il freddo l’ha ucciso prima di arrivare e il suo corpo è stato gettato in mare. Di lui non è rimasto che il cadavere sbattuto dalle onde sugli scogli e poi riportato a casa, in Siria, dai fratelli giunti dalla Germania. Anche per loro nessun aiuto dalle autorità italiane, solo la mano offerta da qualche volontario, e l’amarezza del tentativo compiuto da Walid due anni fa: all’epoca arrivò in Italia in aereo ma allo scalo di Milano fu bloccato e rispedito a casa.

Voleva chiedere asilo politico ma è stato trattato come un clandestino, pacco indesiderato da rispedire al mittente in un’Italia che sta dimenticando le regole elementari dell’accoglienza. Il suo sogno d’Europa, però, Walid non l’ha abbandonato e, appena ha trovato i soldi, ha comprato uno dei mille viaggi della speranza venduti da negrieri senza scrupoli. L’Italia lo ha fatto sentire indesiderato e lui si è comportato come tale: gli è stata chiusa la porta in faccia e ha deciso di entrare dalla finestra. Di arrivare in Puglia dal mare, di notte, come fosse un criminale, su una barca colma di disperati come lui. Gli altri ventinove ce l’hanno fatta, Walid invece è morto, mentre gli scafisti sono riusciti a scappare e a fare rientro in patria. Pronti a partire di nuovo, con un altro carico di miserabili da traghettare verso l’Italia in cambio di soldi che puzzano di malaffare.

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