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La Tunisia si ribella al regime di Ben Ali

Di Gaetano Liardo il . Internazionale

Colti, istruiti e senza lavoro. E’ questa la condizione dei giovani tunisini che da una settimana sono scesi in piazza contro il regime del generale Ben Ali. La crisi economica che sta strangolando il paese magrebino colpisce duramente le giovani generazioni. Senza prospettive occupazionali, soffocate dal rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità e dalla burocrazia cieca di un regime al tramonto. La rivolta dei giovani senza lavoro, rapidamente allargatasi nella vicina Algeria, è la dimostrazione di un ventennio di mal governo, soprusi e ruberie su larga scala.

Il regime di Zine el Abidine Ben Ali ha basato le proprie fortune sulla formula “consuma e taci”. Ovvero lo sviluppo economico del Paese, e quindi l’arricchimento delle classi medie, in cambio della negazione dei diritti democratici. Salito al potere nel 1987 in seguito alla deposizione di Habib Bourghiba, primo presidente e padre dell’indipendenza tunisina, Ben Ali non ha mai nascosto l’indole repressiva del nuovo regime. Militare di professione, addestrato negli Stati Uniti, si è impossessato facilmente del potere detenuto da un uomo, Bourghiba, ormai anziano e mentalmente disturbato. Ben Alì, salito al potere grazie all’appoggio italiano, favorevole ad avere un uomo di “fiducia” sull’altra sponda del Mediterraneo, ha formalmente mantenuto il sistema democratico.

Ma, di fatto, lo ha praticamente smantellato. I partiti di opposizione sono stati banditi, la costituzione è stata modellata in base alle esigenze del Generale – presidente. Quest’ultimo, infatti, è stato rieletto presidente della Repubblica nonostante il limite imposto di due mandati consecutivi. Il sistema alla base della stabilità del regime, tuttavia, sembra non saper reggere alla crisi economica. L’assioma “consuma e taci” è venuto meno. L’economia, basata prevalentemente sul turismo, non riesce a reagire. La “cricca” al potere ha saccheggiato le risorse dello Stato, mettendo le mani su settori economici strategici. Ben Alì e la famiglia della moglie, il clan dei Trabelsi, hanno trasformato, di fatto, la Tunisia in uno Stato – mafia. Garantendosi l’impunità con il controllo sulla magistratura, e mettendo a tacere l’informazione. Servendosi, inoltre, delle forze dell’ordine e dell’esercito come di una milizia privata.

Le poche voci libere del paese vivono nella paura. La radio Kalima, che trasmette su internet per aggirare la censura del regime, subisce spesso violenti attacchi della polizia. Tuttavia riesce, con molte difficoltà, a raccogliere e divulgare informazioni. Smentendo, ad esempio, le dichiarazioni del ministero dell’interno che minimizzavano il numero dei morti degli scorsi giorni. «Un massacro di civili» si legge nel sito della radio, coordinato dalla giornalista Sihem Bensedrine.

«Violenti scontri si sono verificati tra la notte di sabato e domenica mattina – si legge su Kalima – causando più di 50 morti nelle città di  Thala (16), Kasserine (22), Meknassi (2), Feriana (1) e Reguab (8)». La Bensedrine, inoltre, ha divulgato il comunicato della Consiglio nazionale per le libertà in Tunisia, che raccoglie numerose associazioni per la difesa dei diritti umani nel Paese, in cui si denunciano le violenze del regime. «Le forze dell’ordine – si legge nella nota – si sono rese colpevoli di crimini di omicidio su larga scala commessi al di fuori di ogni quadro legale». «Questi massacri – continua – devono essere denunciati pubblicamente a livello internazionale e principalmente dai partner internazionali della Tunisia».

Quei paesi, tra cui l’Italia, «Chiamati ad uscire dal loro silenzio dopo più di tre settimane di scontri tra la polizia e la popolazione, e di repressione sanguinaria». Invito raccolto da numerosi paesi europei, primi fra tutti Francia e Germania, che hanno protestato con Tunisi per la violenta repressione. Diversa la posizione di Roma. Il ministro degli esteri Frattini ha da un lato condannato le violenze contro i manifestanti in Tunisia e Algeria, ma ha anche solidarizzato con i due governi che: «hanno avuto coraggio e hanno pagato con il sangue dei propri cittadini gli attacchi del terrorismo». Paesi moderati, secondo Roma, come la vicina Libia di Gheddafi che ha prontamente solidarizzato con Ben Alì.

Intanto per delimitare la protesta il Generale – presidente ha ordinato la chiusura, fino a nuovo ordine, di scuole e università in tutta la Tunisia. Promettendo, come contropartita, 300 mila nuovi posti di lavoro entro il 2012. Intanto il vento della protesta continua a soffiare sul Maghreb.

Leggi il sito di  Radio Kalima

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