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Il dramma della desaparecida Angelina Maria Aieta

Di Anna Foti* il . Internazionale

5 agosto 1976, Buenos Aires inghiottisce i volti di Angela Maria Aieta, cinquantaseienne, e del suo figlio Salvador Jorge Gullo. Fiera e orgogliosa, originaria di Fuscaldo in provincia di Cosenza, emigrata in Argentina con i genitori, Angela Maria Aieta è una desaparecida italiana, di origine calabrese; una delle 5 mila e 500 persone sequestrate e torturate presso l’Esma (Escuela Superior de Mecanica de la Armada), uno dei trecento centri di detenzione clandestina in cui venivano recluse le anime considerate sovversive in Argentina, all’epoca della dittatura militare imposta dopo il golpe del 24 marzo 1976. Purtroppo non fu tra i trecento che sopravvissero.
Un’intensa attività di ricerca e identificazione coinvolge i consolati argentini in Italia, a Roma e Milano, per il ritrovamento dei bambini, figli di desaparecidos, nati durante la prigionia, e che in molti casi finivano in casa di militari con un’altra identità. «Sono 500 – ha riferito l’Ambasciatore argentino in Italia S.E. Torcuato di Tella in visita in Calabria per incontrare Salvatore Perugini, sindaco di Cosenza – 101 sono stati ritrovati ed è stata restituita loro la vera identità . Di queste famiglie, abbiamo una banca del DNA anche nei nostri consolati italiani. Qualcuno di quei bambini, oggi trentenni, è stato ritrovato anche in Italia. Chiunque abbia un dubbio – conclude con grande speranza – non esiti a rivolgersi a noi». Oggi una piazza e la scuola elementare onorano la memoria di Angela Maria rispettivamente nella capitale argentina e nel comune di Fuscaldo. Il legame tra la nostra regione e il paese latino americano, dove vivono 12 milioni di cittadini argentini di origine italiana, adesso poggia anche un accordo tra il comune di Rio Negro e quelli di Cosenza e di Fuscaldo. Lo storico palazzo della Provincia Cosentina ha ospitato nel 2009 la cerimonia della firma apposta dal primo cittadino di Fuscaldo, Davide Gravina, dal Presidente della Provincia, Mario Gerardo Oliverio, dall’assessore della Città dei Bruzi, Maria Rosa Vuono, e dal sindaco di Viedma (Argentina), Alejandro Arizcuren. Nel 2008 una delegazione argentina ha, infatti, siglato in Calabria un protocollo avente come obiettivo lo scambio interculturale nell’ambito dell’iniziativa dell’ISCaPI (istituto superiore calabrese di politiche internazionali). Ma il sodalizio nasceva già quando la regione Calabria si costituiva parte civile nel processo dinnanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Roma, per il rapimento, le torture e gli omicidi di Angela Maria Aieta, Giovanni Pegoraro e sua figlia Susanna, incinta, sequestrati tra l’agosto del 1976 e il dicembre del 1977. Il processo, in cui si costituì parte civile anche lo Stato Italiano, si è concluso nell’aprile del 2009 con la condanna all’ergastolo di svariati gerarchi argentini. 35 testimoni provenienti da diverse città italiane e straniere e un’inchiesta condotta dal pm Francesco Caporale. Erano imputati per crimini contro l’Umanità, Emilio Eduardo Massera, comandante della Marina militare argentina – uno dei pochi stranieri iscritto alla loggia massonica P2 – e gli ufficiali del “Grupo de Tarea 3.3.2” Jorges Eduardo Acosta, Ignacio Alfredo Astiz, Raul Jorge Vidoza, Antonio Vanek e Antonio Hector Febres. Tutti contumaci. Latitanti, come la verità. Vivono in Argentina. Astiz, condannato in contumacia dal tribunale di Parigi, è richiesto anche dai magistrati di altri Paesi. Furono anni bui che infangarono la storia dell’America Latina come dell’intera Umanità, quelli in cui Angela Maria Aieta si batteva per la libertà e per i diritti umani, per i prigionieri politici e per la liberazione di suo figlio Juan Carlos Dante Gullo, leader della Juventud Peronista e attualmente deputato del Fonte della Vittoria, erede del partito Giustizialista di Peron, nel Parlamento argentino. A disposizione del Potere Esecutivo Nazionale (Pen), Dante sopravvisse alla prigionia durata otto anni (1975 – 1983) senza che mai fosse celebrato un processo. «Per venirci a trovare – ha raccontato – i familiari erano costretti a perquisizioni violente, soprattutto per le donne. Ma se non venivano c’era il rischio che ci facessero sparire. Mia madre non mancò mai di starmi vicino. Combatteva in Argentina per la mia liberazione, per i diritti umani e le condizioni dei detenuti. Aiutava i parenti degli altri carcerati». Il fratello Loepoldo e la cognata Hebe Lorenzo, moglie dell’altro fratello Juan Carlos mai più ritrovato e compagna di detenzione di Angela Maria, sarebbero stati sequestrati qualche anno dopo. Sopravvissuti all’orrore, oggi possono testimoniare in nome di tanti che non possono più farlo. «Stavamo tutto il giorno sdraiate per terra –  ha raccontato ai giudici Hebe Lorenzo –  una accanto all’altra, incappucciate e bendate. Mani ammanettate e piedi legati. Non potevamo parlare né muoverci. Se lo facevamo ci prendevano a calci. Suonavano sempre una musica assordante. Potevamo conoscere solo chi ci stava accanto. Nel primi tempi di detenzione mi trovai con Angela Maria. Era lì da venti giorni. Avevamo il cappuccio, non potevamo vederci, ma ci incoraggiavamo a vicenda. Lei di calci ne ha presi tanti. Ricordo la prima cosa che mi ha detto quando ci siamo conosciute. ‘Ricordati che sono la madre di Dante Gullo’. Tutti noi militanti della gioventù peronista sapevamo chi era». «Si comunica alla popolazione che la giunta militare ha stabilito che sarà punito con la pena di reclusione a tempo indeterminato, chi con qualsiasi mezzo di diffusione, divulghi, diffonda o propaghi comunicati o immagini provenienti o attribuite ad associazioni illecite o persone e/ o gruppi notoriamente dedicati ad attività sovversive o al terrorismo….» (Diario “La Prensa” Argentina, 24 marzo 1976). Così aveva inizio la dittatura e il declino dei diritti, lo sterminio silenzioso e aberrante dei gruppi di sinistra nell’Argentina degli anni Settanta. Il 24 marzo 1976 una giunta golpista, guidata da Jorge Videla, aveva destituito la “Presidentessa ” Maria Estela Martinez, vedova di Juan Domingo Peron e meglio conosciuta come Isabelita, assumendo un potere ed esercitandolo con abusi e violenze al solo scopo di distruggere ogni forma di partecipazione democratica e terrorizzare la popolazione. La giunta intraprendeva il suo Progetto di Riorganizzazione Nazionale e dichiarava alla società civile e ai diritti umani la cosiddetta “Guerra Sporca” che avrebbe mietuto oltre trenta mila persone scomparse. Oltre trenta mila Desaparecidos. Fu allora che la “sparizione”, già posta in essere da gruppi armati governativi, la cattura di ostaggi o rapimento per mano di gruppi armati in situazioni di conflitti e di disordini interni con possibili matrici discriminatorie di carattere razziale ed etnico, ebbero una chiara declinazione tutta sudamericana con il termine “desaparecido” – “scomparso”. La sparizione venne utilizzata per eliminare segretamente gli oppositori politici. Fu allora che la lotta all’impunità ed il diritto alla verità sulla sorte dei desaparecidos divennero obiettivo principale delle ricerche e delle mobilitazioni delle cosiddette Madri di Plaza De Majo, un gruppo di donne, madri e nonne di bambini e adulti desaparecidos in Argentina, formatosi nel 1977 per chiedere informazioni sui parenti “scomparsi” e protestare contro questo  inumano e inaccettabile silenzio. Finora hanno rintracciato cinquanta persone, allora bambini “scomparsi” – ninos desaperecidos – di cui quarantatré vivevano con nuove famiglie. Oggi l’Argentina, di nuovo democrazia dal 1983, è una Repubblica Federale in crescita economica ma nelle pieghe di quegli anni bui ancora giacciono volti strappati alla famiglia, alla storia, alla dignità di una vita libera. Alla Dignità di una vita. Ci sono ancora responsabilità rimaste impunite.
* da Reggio Tv
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