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Reggio Calabria, un anno dopo

Di Gaetano Liardo il . Calabria

E’ passato un anno dallo scorso 3 gennaio quando una bomba venne fatta esplodere davanti alla Procura generale di Reggio Calabria. Un chiaro segnale intimidatorio nei confronti dei magistrati reggini che, nei mesi precedenti, avevano alzato il tiro nel contrastare la ‘ndrangheta. Dal 3 gennaio 2010 si è assistito ad una escalation criminale da parte dei boss.

Minacce, buste con proiettili, ordigni esplosivi diretti contro magistrati e giornalisti. Il Procuratore generale Salvatore Di Landro, i pm della Dda reggina Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, solo per citarne alcuni. Decine di giornalisti collaboratori delle testate regionali minacciati, aggrediti, alcuni anche picchiati selvaggiamente. Una macchina carica di armi fatta ritrovare lungo il percorso del corteo presidenziale in visita a Reggio Calabria.

Una ‘ndrangheta uscita allo scoperto che ha dichiarato la guerra contro chi ha deciso di contrastarne il predominio. A Reggio come nelle altre città calabresi. La risposta degli organi inquirenti è stata altrettanto dura. Decine di operazioni, centinaia di arresti e di sequestri. In Calabria e nell’Italia centro settentrionale. Basti pensare all’operazione Il Crimine della scorsa estate, coordinata dalle Dda di Reggio Calabria e di Milano, che ha assestato un duro colpo alla ‘ndrangheta nel nord del Paese.

Oltre trecento arresti e sequestri per svariate centinaia di milioni di euro. Operazione che, negli sviluppi successivi, ha consentito alle forze dell’ordine di operare ulteriori arresti e sequestri. Nella sola Siderno, cittadina reggina di una delle più forti famiglie di ‘ndrangheta, sono stati sequestrati beni per oltre 200 milioni di euro a Giuseppe Commisso, detto il Mastro.

La reazione, tuttavia, non è stata compatta. Se magistrati, forze dell’ordine, giornalisti e una fetta consistente della società civile calabrese hanno fatto la loro parte, lo stesso non si può dire della classe politica. Come nella “migliore” delle tradizioni, i politici calabresi hanno condannato l’arroganza delle ‘ndrine per poi stringere alleanze elettorali con i boss. Dal voto di scambio al concorso esterno in associazione mafiosa, fino all’appartenenza stessa all’organizzazione criminale.

Amministratori locali, come sindaci, assessori, consiglieri comunali, ma anche politici regionali. Uno schieramento trasversale pronto a chiedere il sostegno dei boss in cambio di favori alle imprese delle ‘ndrine. Lo stesso governatore Giuseppe Scopelliti, ex sindaco di Reggio Calabria eletto nelle fila del Pdl, è stato chiamato in causa. In alcune informative del Ros, riprese dal giornalista Lucio Musolino, emerge la partecipazione ad una cena del Governatore in cui era presente il boss Cosimo Alvaro, oggi latitante.

Lo scenario politico calabrese è talmente compromesso che Angela Napoli, componente della Commissione Antimafia, ha chiesto al Presidente del Consiglio di sciogliere il Consiglio regionale. Le elezioni per il rinnovo del parlamento regionale dello scorso marzo, infatti, hanno subito la pesante ingerenza delle cosche. Candidati in processione dal boss di turno per chiedere aiuto e voti. Il tutto in cambio della promessa di importanti aiuti alle ‘ndrine.

Dopo un anno, nonostante il lavoro delle forze dell’ordine la partita è ancora aperta. La ‘ndrangheta ha subito duri colpi ma è ancora molto forte. E’ una potenza economica e politica. Gode di un contatti e coperture di alto livello, con i poteri forti e occulti. Molti osservatori, sia magistrati che giornalisti, hanno visto nella strategia stragista del 2010 una regia non solo ‘ndranghetista. Come nella Palermo della stagione dei veleni spuntano ufficiali al soldo del boss e uomini dei servizi segreti. Massoni e faccendieri.

La partita è ancora aperta, e il nuovo anno appena iniziato si spera porterà nuova linfa all’azione degli inquirenti, al coraggio dei giornalisti e all’indignazione della società civile. 

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