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Operazione “Cosa mia 3”

Di Gianluca Ursini il . Calabria

“E ora chi sa, parli!”. Giuseppe Pignatone, Procuratore antimafia, dirige la Dda di Reggio Calabria, con l’aggiunto Michele Prestipino. Non è abituato a tirarla per le lunghe con perifrasi: ha appena presentato l’esito della terza tranche dell’operazione Cosa Mia (seguito di un primo blitz in maggio, con 53 arresti ai danni delel cosche Bellocco, Bruzzise e Parrello) eseguita dalla squadra Mobile di Renato Cortese, con 10 arresti a demolire quel che restava dei Bruzzise.

E il procuratore capo parla chiaro del tassello mancante nelle indagini: chi ha pagato. Si tratta di infiltrazioni mafiose nei cantieri della A3, la famigerata Salerno-Reggio; tutto chiarito sul monopolio che i Bruzzise esercitavano sul tratto di competenza rosarnese, fino a Palmi, con gli alleati Parrello e Bellocco. Chiaro, secondo Pignatone e Prestipino, l’importo delle tangenti che i grandi consorzi del Nord versavano per proseguirere l’appalto e venire  in pace a lavorare in Calabria; il 3 percento nel caso di specie, ma è la percentuale standard, come già accertato dal Pm Roberto Di Palma, che oltre a ‘Cosa Mia’, ha istruito i processi ‘Arca’ e ‘Topa’, pietre miliari sulla predominanza ‘ndranghetista negli appalti della Piana di Gioja Tauro, soprattutto quelli di ingegneria stradale.

“Abbiamo chiarito quale fosse il clan percettore della mega tangente, pagata in unica tranche dalla ditta appaltatrice: i Bellocco”, ha spiegato Pignatone. I Bellocco, egemoni a Rosarno con i Pesce, percepirono nel 2004 il maxi pagamento subito dopo l’assegnazione dei lavori del macrolotto 5 (Rosarno – Scilla); rimane, quindi, un ultimo tassello. Da quale dei consorzi interessati al super appalto, abbia versato l’illecito 3% ai Bellocco. “Aspettiamo che gli imprenditori vengano a bussare alla nostra porta, a dire ciò che sanno”, ripetono i vertici della procura Antimafia dello Stretto. I consorzi che hanno lavorato in Calabria in questi anni sono riconducibili grosso modo a tre grandi gruppi: Condotte Spa, Impregilo della famiglia Romìti e Btp, azienda toscana di Riccardo Fusi (Baldassini – Tognozzi – Pontello) azienda che ha goduto di notorietà nazionale involontaria per le cronache sugli appalti concessi dalla ‘cricca’ della Protezione civile, al G8 e non solo.

Vincenzo, Antonio e Carmelo Bruzzise, insieme con la sorella Fortunata, sono elementi di spicco dei Bruzzise che diedero vita tra gennaio 2004 e febbraio 2008 alla ‘Faida di Baritteri’: 6 morti, due tentati omicidi, la prima guerra tra famiglia registrata con la causale “appalti”, a scatenare l’odio tra i consorzi criminosi. Perché i Bruzzise, che considerano “cosa mia” Barritteri, dove si costruirono alcuni campi-base dei cantieri del macrolotto 5, considerarono “cosa nostra” gran parte della mega tangente, distribuita dal clan percettore Bellocco. Questa ingordigia, nelle parole di Prestipino, avrebbe scatenato l’ira delle famiglie rivali di Palmi, Gallico, Morgante e Sgrò, e la faida. Dall’omicidio di Domenico “Micu l’orbu” Gaglioti nel 2006, scaturì anche l’indagine ‘Artemisia’ del Pm Di Palma, andata proprio lo stesso 22 dicembre a sentenza in primo grado.

E come nei processi istruiti dal Pm Di Palma, che più di tutti conosce le cosche della Piana e ha voluto spesso evidenziare nelle sue indagini il ruolo delle ‘Fimmini’ all’interno dei clan, anche le tre arrestate nella operazione Cosa Mia 3, Vicenza Surace, Carmela Carbone, Fortunata Bruzzise dell’omonimo clan, si sono presentate inserite in ruoli attivi nell’organigramma del clan. Dalle indagini di Di Palma e Giovanni Musarò in Cosa mia si evidenzia il ruolo delle donne di ‘Ndrangheta come “molto attive nei disegni criminali, soprattutto nel ruolo di intermediarie e ambasciatrici dei disegni criminosi del clan, tra i componenti detenuti e gli altri picciotti ancora a piede libero”, così ha  riassunto per i giornalisti il lavoro di investigazione dei colleghi, l’aggiunto Michele Prestipino.

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