Vi parlo della mia amica Anabel che denuncia i peccati del potere
Anabel, attualmente, è protetta dagli agenti della Procura di Giustizia di Città del Messico. Mi dispiace molto vedere che è diventata scomoda perfino per i giornali e per altri mezzi di comunicazione, soprattutto per quelli che sostengono il governo o sono i meno critici sulla sua attività. Credo che Anabel simboleggi ciò che dovremmo fare tutti, ciò che qualcuno o alcuni non hanno voluto o potuto fare perché qualcun altro, pagando, ha comprato il loro silenzio. Conosco Anabel Hernández da quando iniziai insieme a lei la carriera di cronista nel quotidiano Reforma de la Ciudad de México, nel 1993. Dopo qualche anno ci separammo, ma nel 2003 ci ritrovammo di nuovo insieme, nella redazione di un altro giornale: El Universal. La nostra amicizia risale ai tempi di Reforma; il tempo trascorso e la distanza che ci separa da quando io vivo in Italia, non hanno indebolito, ma rafforzato il nostro legame.
Non mi soffermo a raccontare cosa Anabel significhi per me. Dirò solo che la conosco abbastanza per dire con cognizione di causa che è una giornalista nel senso più profondo della parola. I suoi innumerevoli lavori non fanno che confermarlo. Anabel è un giornalista rigorosa che via via ha scritto notizie sempre più precise. Qualche giorno fa, quando si è resa conto che dal Governo qualcuno stava pianificando la sua morte, ha reagito presentando una denuncia alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani. Io so che questa non è la prima volta che Anabel riceve una minaccia a causa del suo lavoro; ma è la prima che lo ha reso pubblico.
Già negli ultimi tre anni, In diverse occasioni, aveva subito intimidazioni e aveva sempre reagito senza farsi prendere dalla paura, impegnandosi a diffondere notizie sempre più accurate. Non c’è da meravigliarsi, perciò, se i suoi reportage sono diventati esplosivi, a causa della grande quantità di fatti che è riuscita a documentare mentre altri erigevano un muro di silenzio, e nonostante innumerevoli volte sia rimasta isolata. Lei è andata avanti perché è convinta che in Messico qualcosa può cambiare, e lei non perde la speranza. Perciò, oltre che una buona reporter, la considero una buona messicana ispirata dall’amore per il nostro paese, e spiegherò il perché. Dall’inizio, Anabel si è dedicata soprattutto a casi che avevano a che fare con la corruzione. Un esempio è dato dalla sua inchiesta sul “primo governo del cambiamento”, (così fu chiamato il governo di Vicente Fox, primo rappresentante del Partito Acción Nacional a prendere il potere, dopo 71 anni di governi espressi dal Partito Revolucionario Institucional). Il popolo messicano credette nel “cambiamento”.
Il lancio di Vicente Fox fu impressionante e il suo carisma conquistò gran parte della popolazione. Anabel, che da giornalista aveva seguito la campagna di Fox candidato alla presidenza, continuò a seguire la sua attività dopo che egli vinse le elezioni e cominciò a lavorare da Los Pinos, la residenza presidenziale. Nel giro di un anno, nel 2001, Anabel scoprì che le spese domestiche della casa presidenziale erano esageratamente alte e che i prezzi di tutti i prodotti acquistati erano elevatissimi. Un semplice asciugamano (toalla para manos) veniva pagato 400 dollari. In Messico, l’inchiesta di Anabel fece scalpore e fu battezzata “toalla gate”.
Per aver scoperto che l’amministrazione che parlava tanto di onestà gonfiava i conti a scapito dei fondi pubblici, nel 2002, Anabel vinse il Premio Nacional de Periodismo. Il “toalla-gate” provocò la caduta del numero uno del governo foxista: Carlos Rojas Magnon, responsabile delle spese del Presidente. Quell’inchiesta, in realtà, fu soltanto la prima di molte altre. Durante i sei anni di Fox, Anabel divulgò notizie che andavano dalle spese eccessive per l’abbigliamento della First Lady, a carico dei fondi pubblici, ai contratti milionari ottenuti dagli amici del Presidente, agli affari oscuri dei figli della First Lady, fino alle pratiche esoteriche che venivano realizzate alla Presidenza, precisamente dalla signora Martha Sahagún, dapprima portavoce del “governo del cambiamento”, poi moglie del Presidente. Nel 2003, l’UNICEF conferì ad Anabel un riconoscimento per una serie di reportages che avevano messo in luce le reti di schiavitù e sfruttamento sessuale di bambine messicane alla frontiera tra Messico e Stati Uniti.
Al giorno d’oggi, Anabel Hernández è una delle giornaliste più credibili in Messico, ma allo stesso tempo è una figura scomoda per il potere, poiché in molteplici lavori ha messo a nudo le reti di corruzione che coinvolgono alcuni governanti, coloro che si servono del potere pubblico per ottenere un guadagno personale e quanti usano la pubblica amministrazione per scalate sociali. Lo scorso 4 dicembre, il giorno che il governo del presidente Felipe Calderón compiva quattro anni di vita, il governo che sicuramente passerà alla storia per la forte violenza che dilaga attualmente nel paese, Anabel ha presentato il suo quarto libro intitolato “Los Señores del Narco”, frutto di cinque anni di indagine. In questo libro contiene documenti declassificati di agenzie degli Stati Uniti, sentenze, indagini poliziesche e moltissime interviste a personaggi che hanno ricoperto ruoli chiave, e rivela i legami dei capi della droga con politici, imprenditori e con la polizia messicana.
Ho pensato di scrivere questo libro, ha raccontato Anabel, per raccontare l’incredibile storia di Joaquin Guzmán Loera, “ El Chapo”, capo del Cartello di Sinaloa: come riuscì a fuggire dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande nel 2001. “Avevo appena letto la sentenza, capii che per qualsiasi giornalista sarebbe stato affascinante raccontare la storia di quest’uomo che controllava il carcere dove era rinchiuso, che pagava prostitute perché passassero giorni interi con lui e i suoi amici; quest’uomo che le autorità dipingevano come quasi un Dio che poteva tutto, anche fuggire, come in effetti fece”. “Poi rileggendo, mi resi conto che qualcosa non quadrava. Com’era possibile che un uomo che aveva appena la terza elementare, che aveva iniziato piantando marihuana, dopo essere stato più di sei anni in carcere fosse considerato uno degli uomini più ricchi del mondo?”. Ciò che scaturì da quell’inchiesta di Anabel è impressionante: i narcotrafficanti sono sostenuti da un preciso meccanismo, “da una catena di complicità, che parte dai livelli più alti del Governo e consente di riciclare denaro e trasportare grandi quantità di droga”.
Anabel Hernández aveva già raccontato in vari reportage, con molti dettagli, come alcuni fra i più vicini collaboratori del segretario alla Sicurezza Pubblica Federale, Genaro García Luna, fossero stati assassinati in stile narco, ed altri rinchiusi in carcere, con pesanti accuse di ricevere tangenti dal narcotraffico, mentre altri ancora si erano dovuti dimettere silenziosamente. Anabel aveva realizzato importanti inchieste sullo stesso García Luna, denunciando che mentre l’insicurezza pubblica cresceva, le sue proprietà e la sua ricchezza personale aumentavano. Il giorno della presentazione del libro, Anabel denunciò pubblicamente – per la prima volta – l’ennesima minaccia che aveva ricevuto. E rimproverò sé stessa per non averlo fatto prima, con queste parole: “E’ difficile da credere, e rimprovero me stessa, io che ho denunciato la corruzione al tempo del governo di Vicente Fox, di Juan Camilo Mouriño (che fu ministro dell’interno fino al novembre del 2008, quando morì in uno strano incidente aereo), già prima del segretario alla Sicurezza Pubblica Genaro García Luna; io che oggi rivolgo accuse e critiche al governo di Felipe Calderón, attraverso questo libro… Io, la giornalista che ha criticato per molto tempo queste regole del silenz
io, sono stata zitta! Per essere coerente, credo sia tempo di cominciare a parlare.
Credo che mantenere il silenzio su queste minacce significherebbe accettare di far parte dei segreti nascosti sotto il tappeto in Messico. Noi giornalisti abbiamo il dovere di denunciare ogni volta che chi detiene il potere non può e non è capace di smentire le nostre inchieste”. Anche Anabel e la sua famiglia sono state vittime della violenza irrazionale che imperversa in Messico. Il 5 dicembre del 2000 apprese che il padre era stato assassinato. La sua famiglia, come accadeva ad altre migliaia di famiglie messicane, fu avvolta da una spirale di burocrazia e corruzione. Per mandare avanti le indagini e arrivare a conoscere la verità, bisognava pagare gli avvocati e i funzionari della Procura di Giustizia dello Stato del Messico, dove era avvenuto il crimine. Se avessero desistito, come succede quasi sempre nei confronti della corruzione che esiste e come è successo a migliaia di messicani che hanno subito una violenta perdita in famiglia, avrebbero continuato a vivere nel dubbio e nel dolore.
Dopo che Anabel Hernández, il 4 dicembre scorso, ha reso nota la denuncia, il segretario della sicurezza pubblica, Genaro García Luna, diramò un comunicato stampa in cui afferma che da tempo era stata offerta una protezione alla giornalista ma lei l’aveva rifutata. “Mi preoccupa molto – ha replicato Anabel – che il segretario della Sicurezza Pubblica dica in giro di avermi offerto protezione quando non lo ha mai fatto. Si tratta di qualcosa di molto perverso; se mi succederà qualcosa, potrà dire che mi ha offerto la sicurezza e che io l’ho rifiutata”. Nella lettera aperta all’opinione pubblica, Anabel dice: “Abbiamo assistito alla morte inspiegabile di decine di giornalisti. Non voglio aggiungere il mio nome a quella lista. Lotterò per la mia vita e per il diritto alla libertà di espressione che, in fin dei conti, è un diritto di tutti”.
Il Messico vive un periodo molto particolare. Nessuno si fida di nessuno. E’ all’opera la stessa “macchina del fango” della quale ha parlato Roberto Saviano. Qui da molto tempo parla a tutta potenza. Ed è ovvio che sia in moto anche per Anabel, per minimizzare le denunce che ha presentato contro molti funzionari pubblici e contro le minacce che ha ricevuto. In Messico ha ascoltato commenti di ogni tipo sulla sua persona. Nulla l’ha trattenuta. Anabel è anche una mamma, ciò accresce le sue preoccupazioni, ma lei ha deciso di non tacere, convinta che non sarà il silenzio a proteggerla. In quanto sua amica, ma anche in quanto messicana, sono preoccupata per ciò che le potrebbe succedere. Non lasciamola sola! Credere in lei, nel suo lavoro e nei bravi giornalisti, significa credere che in Messico può cambiare qualcosa. Ne sono convinta con tutte le mie forze.
*tratta da Ossigeno per l’informazione – Osservatorio FNSI-Ordine dei Giornalisti sui cronisti sotto scorta e le notizie oscurate in Italia con la violenza
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