Corruzione al potere, una storia da raccontare
I protagonisti dei reati di corruzione, concussione e di delitti contro
la pubblica amministrazione sono, nella quasi totalità, personaggi
riconducibili alla classe dirigente del Paese. I colletti bianchi. La
corruzione è il tratto distintivo di settori della politica, della
pubblica amministrazione e dell’imprenditoria. Se si analizzano le
statistiche del ministero della Giustizia sulla tipologia dei reati
contestati ai detenuti nelle carceri italiane al 31 dicembre 2009, si
scoprirà che il totale delle donne e degli uomini che rispondono di
queste violazioni sono oltre il 10%. Un dato non da poco.
Un richiamo all’etica nei comportamenti delle classi dirigenti viene
dal nuovo presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, che ha
dichiarato: «Gli episodi di corruzione e dissipazione delle risorse
pubbliche, talvolta di provenienza comunitaria, persistono e preoccupano
i cittadini ma anche le istituzioni il cui prestigio ed affidabilità
sono messi a dura prova da condotte individuali riprovevoli». Una
affermazione che non lascia dubbi sul danno che il malaffare reca al
bene comune. L’analisi sulla situazione non rende bene l’idea di quanto
siano una palla al piede per lo sviluppo del Paese la corruzione e
quanti si rendano colpevoli di tale reato.
Sono i fatti della cronaca giudiziaria a definire la situazione. Dagli
appalti per la ricostruzione de l’Aquila, alle vicende relative alla
protezione civile in materia di grandi eventi, così come, quelli
“storici” dell’era tangentopoli. Una storia da raccontare è quella del
processo per tangenti a pubblici amministratori e operatori sanitari da
parte di imprenditori, durante gli anni della Prima repubblica. Tale
vicenda è da prendere ad esempio di come, sin dagli anni ‘90, nulla sia
cambiato. Anzi. Era il marzo del 1994, quando la Polizia scoprì un vasto
giro di tangenti sulla fornitura di apparecchiature elettromedicali
alle Unità sanitarie della Regione Lazio e del resto d’Italia.
Le indagini individuarono un imprenditore toscano che, per conto di una
multinazionale del settore, aveva venduto ad un ospedale pubblico una
costosa macchina utilizzata per il trattamento della calcolosi renale.
Lo stesso macchinario venduto alle cliniche private di Roma veniva
pagato circa 900 milioni di lire, mentre alla Usl era costato circa 1200
milioni. La somma eccedente era stata devoluta, secondo l’accusa, ad un
politico influente e ad un medico dell’ospedale. Nel corso dell’arresto
dell’imprenditore, la polizia trovò lettere riconducibili a Licio Gelli
e scoprì i contatti tra il “mercante” di apparecchiature mediche e la
massoneria deviata. Il politico patteggiò la pena e ha continuato a
candidarsi e a farsi eleggere nei diversi partiti nati nella Seconda
repubblica che, per la potenzialità del consenso elettorale di cui
dispone, se lo contendono. La vicenda può forse spiegare perchè non è
mai passata una legge organica sulla corruzione e perchè non è ancora
possibile sequestrare i beni ai corrotti
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