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Ciotti alla Lega: l’antimafia non ha colore

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

«Bisogna lavorare insieme, senza distinzione, senza etichette, perché sulla giustizia non possono esserci divisioni, altrimenti si fa il gioco delle mafie»: così Don Luigi Ciotti, in uno dei suoi passaggi più applauditi, durante il convegno “La Lega contro la mafia al nord”, svoltosi sabato scorso a Milano, presso il Pirellone, sede della Regione Lombardia.  Un convegno organizzato dalla Lega Nord, alla quale hanno preso parte parlamentari e dirigenti del Carroccio e dove è stato invitato anche il presidente di Libera. Il convegno ha voluto essere una risposta politica e mediatica agli attacchi che in questi ultimi mesi la Lega ha denunciato di dover subire: dalle critiche di Saviano, alle polemiche tra il consigliere regionale dell’IdV Giulio Cavalli e il presidente del Consiglio Regionale Davide Boni, per finire alle accuse rivolte all’ex guardasigilli Castelli dal collaboratore di giustizia Di Bella, contenute nel libro “Metastasi”. Un dibattito pubblico pensato per sollecitare l’orgoglio leghista: “Siamo noi l’antimafia del Nord” ha tuonato l’europarlamentare Borghezio al termine del suo intervento. 

Va detto subito che la scelta di Don Luigi Ciotti di partecipare all’appuntamento, per portare un contributo e una riflessione al di là degli schieramenti politici, è stata sicuramente coraggiosa da un lato, visti i rischi di essere strumentalizzata e, addirittura, non essere compresa da quanti avversano la cultura leghista; ma allo stesso tempo è stata una scelta difficile, poiché in passato, nonostante gli apprezzamenti per le misure di contrasto alle mafie, comprese quelle recenti del pacchetto sicurezza, il sacerdote si era spesso confrontato aspramente con il ministro dell’Interno, per alcune scelte, come quella di introdurre il reato di clandestinità, ritenuto del tutto incostituzionale e lesivo dei diritti umani.  Era quindi fondata la preoccupazione di quanti, tra i più vicini a Libera e al suo presidente, vedevano possibile una contestazione da parte della base leghista, schierata compatta a difesa della propria dirigenza. E invece, durante il suo discorso, Don Ciotti è riuscito a strappare consensi generalizzati sottolineati dai molti applausi; il suo intervento, iniziato tra alcuni brusii e rumori di fondo e qualche disattenzione, si è chiuso invece in un silenzio irreale, con la platea dei circa quattrocento leghisti, letteralmente ammaliati dalle parole del sacerdote. 

Eppure Don Ciotti, nell’affrontare la questione del contrasto alle mafie e alla corruzione, non è certo stato politically correct secondo il pensiero leghista. Ha ricordato che la mafia si combatte certamente arrestando i latitanti, ma creando lavoro e sviluppo nelle regioni depresse. Ha rimarcato il valore della legge 109/96 per sottolineare che i sequestri sempre ricordati da Maroni sono importanti, ma quello che più conta è arrivare alla fine dell’iter, confiscando e assegnando a fini sociali quanto viene tolto alle cosche, secondo l’intuizione di Pio La Torre. E ha ribadito che le cosche che sono presenti al nord da decenni, come evidenziato anche dall’ultimo rapporto della DIA licenziato dallo stesso ministro. Quindi bisogna affrontare il problema, ammettendo, innanzitutto, di averlo in casa e tenendo ben presente che le mafie sono alla ricerca di interlocutori politici e anche la Lega deve vigilare, al pari degli altri partiti, per evitare infiltrazioni.  Don Ciotti ha poi dichiarato che la legalità non può e non deve bastare più, in quanto diviene facilmente una bandiera da sventolare per coloro che la calpestano ogni giorno (n.d.r. abbiamo rilevato più di una risatina e imbarazzo della gente che si dava di gomito a queste parole, chiamando in causa le relazioni pericolose di alcuni leader del centrodestra, seppur alleato con la Lega); quello che serve al contrario è un impegno costante per la giustizia sociale e per il riconoscimento dei diritti a tutti, anche per chi è in fuga dai tanti focolai mondiali di guerre e carestie che alimentano l’immigrazione e, nella clandestinità, rafforzano lo sfruttamento da parte dei trafficanti di esseri umani.  Anche un leghista normalmente infervorato, per usare un sottile eufemismo, come l’europarlamentare Mario Borghezio ha utilizzato toni insolitamente pacati, quasi da educanda, nel suo discorso, tutto teso a dimostrare l’impegno di sempre della Lega Nord contro le mafie, a partire dalla battaglia contro il soggiorno obbligato. Borghezio ha inoltre ringraziato don Ciotti per aver accettato l’invito a venire nella “tana della Lega”, lodando il coraggio e l’umiltà di un sacerdote in prima linea contro le mafie e ammettendo, alla fine, di essere sì razzista, ma “razzista contro i mafiosi”. Da evidenziare inoltre che Boni e Renzo Bossi hanno spiegato l’iter che dovrebbe portare in pochi mesi all’adozione di alcune leggi regionali per contrastare le cosche. 

All’inizio del convegno, gli organizzatori hanno letto ai partecipanti una lettera del ministro Roberto Maroni, che, nonostante il forfait dell’ultima ora, ha voluto sollecitare l’orgoglio leghista nella lotta alla mafia: «La mia solidarietà ai tanti amministratori locali che quotidianamente combattono la malavita. Comprendo il loro dispiacere per l’infamante campagna mediatica, ma anche questa volta dimostreremo di essere il partito della legalità».   Chi era presente ha potuto prendere nota anche di un evento straordinario, avvenuto sotto le luci del prossimo Natale e in mezzo ai fazzolettoni verdi dei militanti.  La platea dei leghisti era talmente rapita dalle parole di Don Luigi, tra la denuncia e l’invito alla mobilitazione contro le mafie e la corruzione, da non pensare nemmeno per un attimo di averlo applaudito, mentre stava citando le parole di un extracomunitario e di un meridionale!!  Eh sì, perché  nell’intervento del fondatore del Gruppo Abele e di Libera, sono riecheggiate prima le parole di Sant’Agostino (nativo di una provincia dell’Africa) – «La speranza ha due bei figli: la rabbia ed il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose, il coraggio di vedere come potrebbero andare» – e poi anche quelle del giudice Rosario Livatino, nativo di Canicattì e ucciso il 21 settembre 1990 lungo la strada per Agrigento, che annotava nel suo diario questa frase: «Alla fine della vita non ci verrà chiesto se siamo stati credenti ma credibili». 

Due citazioni importanti, segnate da altrettante interruzioni e, poi, applausi a scena aperta, fino alla fine dell’intervento. Non un passo indietro e nessun cedimento all’ambiente: ma questa non è novità per Don Luigi Ciotti.

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