Sui tetti con i ricercatori
Da lassù si vede quasi tutta la città. Sul tetto della facoltà di Architettura della capitale i ricercatori italiani sono saliti il 24 novembre per protestare contro la riforma Gelmini, la stessa che ha portato in piazza per un mese intero, sindacati studenteschi, precari della scuola. Stamani una numerosa delegazione di rappresentanti del mondo della comunicazione, dell’informazione e della cultura è salita sui tetti occupati dai ricercatori di varie facoltà italiane ad incontrare donne e uomini che stanno provando a sensibilizzare la politica, l’opinione pubblica e l’informazione, per chiedere che venga modificata, o meglio ritirata, questa riforma. Il percorso già intrapreso non sembra dalla loro parte. La cd. riforma Gelmini è stata approvata alla Camera dei deputati con un larga maggioranza e ora si dirige, con una modifica proposta da Futuro e libertà verso il Senato.
«Siamo qui a esprimere nostro sostegno – dichiara il portavoce di Articolo21, Beppe Giulietti – per dare volto e voce a chi sta contestando questa riforma. Stamani sono presenti molti colleghi giornalisti – in particolare “Rainews” – quello che chiediamo è che a questi ricercatori in protesta venga riconosciuto il diritto al cd. “lodo Maroni”». Beppe Giulietti si riferisce alla possibilità di replicare negli stessi organi d’informazione che raccontano questa riforma – aggiungendo – «per Maroni, in luogo di pochi minuti in cui Saviano ha dato ai telespettatori alcune informazioni, sono state garantite molte ore di replica a reti unificate, riteniamo che questo debba accadere anche con chi su questi tetti protesta da giorni e non trova spazio per farlo sapere all’opinione pubblica». Sul tetto del Palazzo della facoltà di Architettura, in piazza Borghese, oggi a Roma c’è il sole, ma i ricercatori che si danno il cambio da giorni conoscono solo freddo e pioggia ma questo non li ha fermati. Da quassù cercano di ottenere il diritto di parola e chiedono di poter partecipare alle scelte che li riguardano direttamente.
«Questo diritto di parola – afferma il segretario dell’Assostampa romana, Paolo Butturini – dovrebbe essere garantito da tutti, dal giornalismo, e non solo dalla Rai. E’ importante – ricorda il segretario – che si ritrovi il senso del ruolo pubblico che l’informazione ha e deve avere. Negli ultimi anni l’accezione di “pubblico” sta ad indicare qualcosa di negativo, invece, è importante ripartire da qui: dai beni comuni, dall’informazione e dalla formazione». Sul tetto della facoltà cui si accede attraverso una scaletta in ferro, un bel po’ ripida, salgono nella mattinata Carlo Verna, segretario dell’Usigrai, Roberto Natale, presidente della Fnsi, Giorgio Santelli, giornalista di Rainews e portavoce di Reporter senza rete, e molti altri colleghi. Rimangono a lungo, parlano con i ricercatori e offrono loro un microfono per raccontare quanto questa riforma incida sul settore della ricerca in Italia.
Noi li lasciamo continuare, scendiamo le scale dell’antico palazzo e andiamo ad incontrare Maria, ricercatrice di scienze, madre di due figli e ricercatrice strutturata, cioè con contratto a tempo indeterminato. Lei è una rarità in questo Paese, e lo rimarrà se la riforma verrà approvata cosi com’è. «L’atto più disastroso di questa riforma per noi ricercatori e per il sistema della formazione in questo Paese è che la riforma prevede proprio l’abolizione della figura del ricercatore. Questa professione così come l’abbiamo intesa sino ad oggi, nonostante tutte le difficoltà in cui versa, viene cancellata nella futura riforma». Tutti quelli che oggi sono sui tetti, dunque, non stanno difendendo solo il proprio diritto al lavoro ma cercando di lottare per far sopravvivere un’area fondamentale della formazione e dello sviluppo che la riforma sta per negare. Come? «La riforma – ci spiega Maria – intende chiudere con noi, gli ultimi stabilizzati, il lavoro di ricerca in Italia. Dopo di noi non ci sarà nessun altro. La nuova figura progettata è un RTD, un ricercatore a tempo determinato, personale cui verrà fatto un contratto a tempo, scaduto il quale può solo accedere all’insegnamento, con altri problemi molto grandi da risolvere, e non può più portare avanti il suo progetto di ricerca». La ricerca come motore di sviluppo e progresso di un Paese, semplicemente non esisterà più.
Questo è fra i tanti aspetti critici di questa riforma, i fondi zero per la ricerca, l’avvicendamento solo per titoli all’insegnamento (scompare la prova scritta e rimane solo un colloquio orale “discrezionale” per meriti già acquisiti e tanto altro) il blocco delle assunzioni nonostante i prepensionamenti, continua a rimanere il dato più sconfortante. «per i nostri colleghi non c’è futuro in questo Paese – conclude la ricercatrice – nonostante i numeri dicano esattamente il contrario. E’ emerso infatti che i ricercatori italiani producono risultati eccellenti nonostante i pochissimi mezzi che hanno a disposizione». Qui gli danno poco e con quel poco riescono a fare tanto ma per un tempo limitato. Dall’estero, invece, li aspettano per dargli molto e produrre il massimo. Questo è il binario a doppia velocità sul quale stiamo viaggiando.
Per maggiori informazioni segui qui la protesta
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