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Nord, dove la mafia si fa impresa

Di Stefano Fantino il . L'analisi

Perché, due anni fa, a San Vittore Olona, fu ucciso il boss Carmelo Novella? Lì, in provincia di Milano, in un paesino di nemmeno diecimila anime, un uomo delle ‘ndrine viene fatto “sparire”. Una prova lampante da esibire a chi, ancora oggi, si ostina a invitare all’attenzione per una possibile infiltrazione mafiosa nel caro vecchio settentrione d’Italia. Dimostrando di essere in ritardo. Almeno di qualche decennio. Non solo infiltrazioni, capitali sporchi da ripulire, al Nord, e nella fattispecie in Lombardia, la presenza della mafia calabrese è tale da poter permettere a chi, nel settentrione, ormai si sente di casa, di sentirsi abbastanza autonomo da rinunciare alle direttive della casa madre calabrese.

Gli esiti non sono stati quelli di una secessione anzi, ma rimane altamente indicativo del potere e della “strada” che le ‘ndrine hanno fatto al Nord. Non manca di portare elementi favorevoli a questa analisi la relazione della Dia, relativa al primo semestre del 2010. Cosa Nostra, camorra casalese, ma sopra ogni cosa ‘ndrangheta, capace di insinuarsi con dinamismo raro nel tessuto imprenditoriale del Nord. Che la Lombardia, cuore finanziario del Paese, fosse un approdo sicuro pare scontato. Secondo la Dia, «la strategia di penetrazione nel tessuto economico da parte delle ‘ndrine oggi poggia su una sorta di doppio binario “quello del consenso e quello dell’assoggettamento».

In sostanza «da un lato trascinano con modalità diverse i sodalizi nelle attività produttive e dall’altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione, che possano favorirne i disegni economici». La penetrazione della mafia calabrese, per la Dia, è tale che non «non appare eccedente parlare di fenomeno di condizionamento ambientale». Questo anche grazie al «coinvolgimento di alcuni personaggi, rappresentati da pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede a impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l’assegnazione di appalti e assestato oblique vicende amministrative».

E se ormai la presenza attiva è certa, gli investigatori temono che le ‘ndrine possano mettere le mani sulla golosa torta dell’Expo, a cui si avvicina a grandi passi, proponendo «un razionale programma di prevenzione, soprattutto in previsione delle opere previste per Expo 2015- dice la relazione-  che coinvolga non solo le autorità istituzionalmente deputate alla vigilanza, ma anche tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella relativa filiera e che consenta di individuare per tempo eventuali criticità o anomalie ascrivibili alla su indicata realtà».  

Un’altra zona notoriamente fertile per le ‘ndrine è la Liguria, dove la presenza nel capoluogo di Genova, peraltro ben descritta nell’ordinanza “Il Crimine”, si affianca a quella, storica, e pesante nel Ponente. Gli appetiti delle ‘ndrine si saziano con il mercato degli stupefacenti, estorsioni, usura, gioco d’azzardo, controllo dei locali notturni per lo sfruttamento della prostituzione, anche se la Dia non rinuncia a sottolineare come «non meno importante è la significativa presenza, attraverso capitali di incerta provenienza, nei campi dell’imprenditoria edile e dello smaltimento dei rifiuti». E l’evolversi della situazione, raccontato dalle cronache, con la commissione d’accesso per valutare lo scioglimento per infiltrazione mafiosa a Bordighera, non fa che rafforzare la valutazione della Dia che anche per il vicino Piemonte parla di una massiccia presenza. 

«In Piemonte – scrive la Dia – si registra una ”qualificata” presenza di soggetti riconducibili alle ‘ndrine del vibonese, della Locride, dell’area ionica e tirrenica della provincia di Reggio Calabria». In Veneto, invece, si registrano «segnali di interesse della ‘ndrangheta verso i settori dell’economia locale e di una significativa incidenza percentuale delle segnalazioni per operazioni finanziarie sospette effettuate nella regione». Non poteva mancare, nel quadro, la ricca Emilia Romagna, capace di attirare attenzioni delle ‘ndrine ma anche della camorra casalese e dei i clan della Sacra Corona unita. Che, stanno tentando di mettere in piedi «vere e proprie holding imprenditoriali», infiltrandosi anche negli appalti e con operazioni finanziarie ben mimetizzate sotto una maschera di legalità, producendo seri «rischi di inquinamento dell’economia legale». 

Il rapporto della Dia insiste sui Casalesi, dotati di «reali capacità tecnico-imprenditoriali che li mette in grado di aggiudicarsi gli appalti ed acquisire le concessioni, non solo nell’area casertana, ma anche in territori extraregionali non storicamente condizionati dall’endemica presenza della criminalità camorristica, quali quello emiliano».

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