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Nel labirinto degli dei

Di Lorenzo Frigerio il . Recensioni

Il nuovo libro di Antonio Ingroia, come
lui stesso ammonisce fin dalle prime pagine, non vuole essere un
libro di storia, perché il compito di scrivere la storia non
appartiene ai magistNel labirinto degli deirati. “Nel labirinto degli dei” è però un
libro di storie, leNel labirinto degli dei tante storie di uomini e di donne incrociate
nella sua ormai lunga carriera, che diventano così il felice
espediente narrativo per ripercorrere vent’anni di mafia e
antimafia nel nostro Paese. Si parte con Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino – “erano i miei maestri” scrive con un legittimo
orgoglio Ingroia – che accompagnano il suo esordio in magistratura
e ne segnano anche gli anni difficili della maturità professionale e
umana, coincidenti con le terribili stragi del 1992. Di entrambi sono
offerti ritratti inediti e familiari, con toni di rara intensità
emotiva. Con il primo dei due, Ingroia inizia il suo tirocinio da
uditore giudiziario, con una comprensibile emozione, dovuta al timore
reverenziale suscitato da Falcone in chiunque, per il suo carattere
apparentemente schivo e asciutto: “Una mattina mi colse di
sorpresa. Si rivolse a me chiedendomi se in futuro avrei voluto
indagare sulla mafia, più esattamente, se occuparmi di mafia faceva
parte dei miei interessi di «neomagistrato». Non avrei mai
immaginato che un giudice istruttore di quell’esperienza e di quel
prestigio tenesse in considerazione i progetti e le aspirazioni di un
magistrato alle prime armi”.

Con Borsellino, invece, Ingroia
familiarizza in occasione del periodo in cui si trovano a lavorare
insieme in una trincea di periferia, a Marsala e subito entra in
sintonia, grazie anche all’estrema affabilità del giudice. Anche
in questo caso, il ricordo è ancora vivido e realmente commosso:
“Era un giudice, ma soprattutto un uomo, un uomo allegro. Dotato di
una risata che gli illuminava il viso. E quando rideva, la sua
allegria, che era allegria e freschezza d’animo, voglia di vivere,
lo prendeva tutto, fino a scuoterlo nel profondo. I suoi baffi
ridevano, il suo naso rideva, i suoi occhi ridevano, felici. La sua
anima sorrideva”. 

Un espressivo profilo è riservato a
Rita Atria, la giovane ragazza di Partanna, al quale furono uccisi
padre e fratello e che scelse di rompere il muro di omertà eretto
dalla sua famiglia: “Sembrava indifesa, tutta protesa a farsi
piccola, a essere protetta. Ma lei, la ragazza, non dava
l’impressione di sentirsi a disagio. Cercava di apparire, al
contrario, tranquilla. Serena e determinata. Aveva occhi grandi e
quegli occhi me li trovai puntati addosso, con forza, con insistenza.
Quando entrai nella stanza, mi fissò, in silenzio e a lungo. Non era
disposta a distogliere lo sguardo, uno sguardo intenso e
interrogativo. Aspettava. Aspettava di capire se poteva fidarsi di
me”. Rita si fidò di quella nuova famiglia acquisita che non le
fece pesare più di tanto la lontananza dalla famiglia d’origine,
ma quando la strage di via D’Amelio le portò via così
tragicamente quello che era diventato un secondo padre, non resse
allo sconforto e si tolse la vita.

Una storia triste e terribile, come
tristi e terribili, ma per tutt’altro motivo, sono le storie dei
tanti collaboratori di giustizia Nel labirinto degli deiche Ingroia ha ascoltato e
catalogato in questi anni. Da quelli della prima ora, come Tommaso
Buscetta (“il più grande”), Totuccio Contorno, Francesco Marino
Mannoia, definiti “i precursori”, per arrivare a quelli
dell’ultima generazione, sopravvissuti non solo alle minacce e alle
pallottole, ma anche ai provvedimenti legislativi, che hanno finito
per disincentivare la collaborazione con lo Stato. Sono storie di
violenza e di malinteso senso dell’onore, ma dietro ognuna si trova
la storia di un uomo che ha sbagliato e che, in qualche modo cerca di
pareggiare il conto in sospeso con la vita. Dopo “i precursori”
si arriva alla seconda generazione di pentiti, molti dei quali
provenienti dalle file dei corleonesi che consegnano agli atti alcune
verità scottanti dei rapporti tra mafia, politica ed economia. La
nuova legge del 2001 però rende più difficile il passaggio dalla
mafia allo Stato, non si sa quanto inconsapevolmente. Ecco così
avanzare la terza generazione, prodotto di quella che viene definita
la «legge bavaglio» per i pentiti. Di tutti loro, il più noto è
sicuramente Gaspare Spatuzza, le cui rivelazioni tengono banco oggi.
Secondo il magistrato, la vicenda della negata assegnazione dello
status previsto dalla legge a quello che ritiene “il collaboratore
di maggior spessore degli ultimi anni” pone seri problemi, a
proposito della necessità di riscrivere le condizioni normative, per
cui un mafioso può essere ammesso a godere della protezione dello
Stato.

Nel libro di Ingroia c’è spazio
anche per altri ritratti di persone quasi del tutto dimenticate oggi:
da quelli dei collaboratori di fiducia, poi caduti in disgrazia –
dal tenente dei carabinieri Carmelo Canale, al maresciallo della
finanza, in forza alla DIA, Giuseppe Ciuro – a quelli dei colleghi,
finiti nel tritacarne mediatico prima ancora di togliersi la vita –
dal giudice Luigi Lombardini, al pm palermitano Domenico Signorino –
per chiudere con altri due casi, vale a dire quello del maresciallo
dell’Arma Antonino Lombardo e quello del mafioso Antonino Gioè,
suicidatisi in contesti mai del tutto chiariti. Per ciascuna di
queste vicende, pagine drammatiche della storia giudiziaria del
nostro paese, si ricostruiscono contorni e contenuti, ma l’autore
non indulge nel sensazionalismo, piuttosto sembra riconoscere ad
ognuno di queste persone il ruolo di tragiche figure, finite spesso e
volentieri sul proscenio senza volerlo e schiacciate poi dal peso
degli eventi.

Nella personale galleria, così ben
assortita dal procuratore, entrano anche Silvio Berlusconi e Marcello
Dell’Utri. Il primo è il protagonista di “un appuntamento
mancato sulla strada dell’accertamento della verità”. Nel
novembre 2002 il tribunale, il collegio difensivo e i pm si
trasferiscono a Roma per interrogare Berlusconi quale teste assistito
nell’ambito del procedimento contro Dell’Utri. Viene ricostruita,
nelle pagine del libro, la grande tensione del momento, una
fibrillazione che riguarda ogni parte in causa del delicato
procedimento ma che si estende anche a mass media e opinione
pubblica, fino all’epilogo prevedibile: “C’è un silenzio
irreale e pesante intorno. Vedo il Presidente Berlusconi attento e
teso, le mascelle serrate, lo sguardo fisso su di me. Intenso, senza
espressione apparente, ma serio e severo”. Nonostante l’appello a
rispondere per chiarire ogni lato oscuro delle sue relazioni con
Dell’Utri, Mangano e i boss palermitani e sulle origini delle sue
fortune, Berlusconi decide di avvalersi della facoltà di non
rispondere.

Di Dell’Utri, invece, si ricostruisce
l’unico scambio di battute, avuto in questi lunghi anni che hanno
visto i due confrontarsi in aula, su versanti contrapposti. Un
dialogo che viene giocato in punta di fioretto e che si raffredda di
colpo, non appena il pm manifesta la sua fede calcistica nell’Inter,
contrapposta a quella di Dell’Utri e Berlusconi, patron del Milan:
“Dell’Utri mi guarda, diventa serio, l’aria prenatalizia
svanisce. Ribatte con una sola parola: «Puru?», in perfetta
sonorità palermitana. Come dire: «Anche questo, non solo tutto il
resto, ma anche interista?». La colpa più grave. Incautamente,
avevo toccato il tasto del tifo calcistico. Un tasto che non concede
tregua alle divisioni, nemmeno sotto Natale”.

L’ultimo ritratto del libro è
dedicato a Massimo Ciancimino, personaggio del momento: “Figlio
dell’epoca, vive di immagine, della propria in particolare, e per
riscattarla ha sfidato la legge dell’omertà che il padre mai aveva
osato violare”. Un contributo notevole il suo all’accertamento
della verità che, però, necessita ancora di essere vagliato al
meglio, secondo Ingroia.

Altre belle pagine sono dedicate alla
vita blindata, ai rapporti tra la mafia e i salotti buoni di Palermo,
al rapporto tra Falcone e Borsellino, ma, al termine della lettura
del bel libro, due immagini ci rimangono impresse più delle altre e
fanno una da contraltare all’altra: il sorriso aperto e solare di
Borsellino e le mascelle serrate di Berlusconi.

In mezzo ci sono le storie che Antonio
Ingroia racconta così bene. 

Antonio Ingroia

NEL LABIRINTO
DEGLI DEI

Il Saggiatore,
Milano 2010

pp. 224

€ 15,00

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