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Milano, “Provincia” di Reggio Calabria

Di Norma Ferrara il . Calabria, Lombardia

 «Nonostante la presenza nelle regioni del centro nord “la testa” della ‘ndrangheta rimane saldamente a Reggio Calabria». Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica nel capoluogo reggino, risponde così a chi in questi mesi ha parlato di una mafia che avrebbe trasferito la sua “capitale” a Milano. Con Pignatone, approdato in Calabria dopo molti anni di inchieste contro Cosa nostra siciliana, ripercorriamo i cambiamenti strutturali della ‘ndrangheta, partendo dal capoluogo lombardo e ritornando alla cuore della più potente rete criminale e affaristica del Paese: Reggio Calabria. 

Nel luglio scorso l’operazione “Il Crimine” ha portato alla luce non solo le attività illegali della mafia al Nord ma anche una  nuova immagine dei rapporti di forza dentro la ‘ndrangheta, quale?  

Alla luce di una serie di inchieste, fra le quali la più importante è l’inchiesta denominata“Il Crimine”, in un quadro che analizza le evoluzioni progressive della ‘ndrangheta negli ultimi vent’anni, si evince come questa sia diventata un’organizzazione sostanzialmente unitaria, sebbene ramificata non solo fuori dalla Calabria, ma anche nel resto del mondo. 

C’è una “cupola” anche per le ‘ndrine? 

Persistono tre mandamenti, quello ionico, quello tirrenico e quello reggino. Ci sono i “locali”, organizzazioni su base fortemente familiare. Ma il dato nuovo emerso è che tutte queste strutture si muovono con la consapevolezza di appartenere alla stessa struttura. Sono una organizzazione unitaria. In una intercettazione dell’operazione “Il Crimine” due boss al telefono esclamano «siamo tutti nella ‘ndrangheta!» confermando la loro conoscenza dell’organizzazione, della compresenza in essa e delle sue finalità. 

Se c’è una regia unitaria, chi comanda oggi la ‘ndrangheta? 

E’ chiaro che non possiamo trasferire in Calabria il modello siciliano, per intenderci quello della “cupola”. Ci sono delle differenze, soprattutto nel comando della struttura. Durante l’ultima indagine abbiamo avuto modo di capire che a capo della cosiddetta “Provincia” o “Crimine” non c’è un capo, comunemente inteso, alla Provenzano o alla Riina. Piuttosto siamo di fronte a personaggi che rappresentano una sorta di mediazione fra interessi e equilibri contrapposti. All’epoca delle indagini, nel luglio scorso, a ricoprire questo incarico era stato scelto Domenico Oppedisano, ottantenne originario di Rosarno, voluto perché in grado di trovare un punto di equilibrio all’interno dell’organizzazione. 

Il tentativo di dare autonomia all’organizzazione lombarda rispetto alla Calabria è stato spento con il sangue … 

L’omicidio di Carmelo Novella, boss che ha tentato di realizzare la  secessione dei “locali” della ‘ndrangheta lombarda da quelli della Calabria, è un dato che presenta una doppia lettura. Da un lato si è scelto di ricorrere ad un omicidio per  impedire questa separazione, riaffermando chi comanda e in che modo dentro l’organizzazione. Dall’altro lato gli ‘ndranghetisti hanno confermato di considerare la Lombardia un posto centrale per il volume di affari che le gira intorno, le opportunità di espansione che offre. E non è un caso se in Lombardia contiamo già – sempre secondo l’inchiesta condotta con i colleghi di Milano – 25 locali di ‘ndrangheta e almeno 500 affiliati. 

Milano capitale della ‘ndrangheta, dunque? 

Io  – ma anche i colleghi milanesi –  ritengo che la capitale della ‘ndrangheta, la”testa” sia ancora a Reggio Calabria. Ci sono delle espansioni delle ‘ndrine non solo in Lombardia, anche in molte altre regioni del centro nord. Quella che è avvenuta  è una “colonizzazione” di locali della ‘ndrangheta in Italia come all’estero. 

Come ha reagito il tessuto socio-economico lombardo all’arrivo delle mafie? Pare che le denunce per racket e usura, accertate nelle inchieste, tardino ad arrivare … c’è omertà?  

Per tutto quello che riguarda  la presenza della ‘ndrangheta in Lombardia io ritengo che a parlarne siano i colleghi delle procure del Nord che conoscono meglio il territorio. 

Spostiamoci alla “testa”, dunque. Cosa sta accadendo sotto il profilo investigativo in Calabria? 

Il 2010 è un anno positivo. E’ un periodo di svolta e di speranza. Sei nuovi collaboratori di giustizia, fenomeno raro nella ‘ndrangheta, si sono rivolti alla magistratura negli ultimi due mesi. Hanno chiesto di parlare, di collaborare e raccontare quello che sanno sulla mafia. Come si può immaginare si tratta di un contributo molto prezioso poiché capace di svelare logiche, misteri, organigrammi e affari della più potente e segreta organizzazione criminale. Lo scorso 23 novembre abbiamo potuto effettuare alcuni arresti contro affiliati del clan Pesce a Rosarno, grazie alle deposizioni della nuova collaboratrice di giustizia, già sottoposta a misura di protezione, Giuseppina Pesce, donna di mafia che ha scelto di collaborare con la giustizia. Quello dei collaboratori è un fenomeno recentissimo e sta già dando riscontri positivi. 

Qual era la situazione che ha trovato a Reggio Calabria al suo arrivo? 

Quando siamo arrivati due anni fa ci siamo subito accorti di quanto fosse scarsa l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale sul fenomeno mafioso in Calabria. Questo per una serie di motivi che vanno dalla debole rilevanza economica della regione sino all’ isolamento  a causa di quello che ho definito –  con un’espressione che ha fatto subito notizia – il cono d’ombra dell’informazione sulla Calabria. E’ nel silenzio generale che le mafie hanno potenziato la loro forza. Poi lentamente le cose sono cambiate. L’informazione sta facendo il suo lavoro e c’è stata una rinnovata attenzione, anche a livello nazionale, verso il fenomeno. Il 2010 è stato un anno di svolta e di speranza sotto il profilo dell’attività repressiva e le reazioni dei boss non si sono fatte attendere. Minacce, attentati a magistrati e giornalisti dimostrano l’insofferenza della ‘ndrangheta all’attenzione degli inquirenti, al costante racconto dei giornalisti e alla partecipazione dei cittadini. Serve che si continui così: con risultati concreti sul versante repressivo, costantemente sottoposto al controllo democratico dei cittadini e con una società civile sempre più vigile e impegnata. 

Anche la politica regionale è stata al passo con questo impegno profuso dai cittadini? 

Ha una domanda di riserva…?

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