Mafie al Nord, non dobbiamo stupirci
Mafia al Nord? Solo a sentirlo, a molti viene l’orticaria e lanciano accuse di provocazione. Per coerenza le accuse dovrebbero essere rivolte niente meno che al prefetto Dalla Chiesa, eroe dell’antiterrorismo e vittima poi della violenza mafiosa. Perché fu lui (in una memorabile intervista a Bocca del 10 agosto 1982, pochi giorni prima di essere ucciso a Palermo) che disse: «La mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. A me interessa conoscere questa “accumulazione primitiva” del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi o ristoranti à la page . Ma ancor più mi interessa la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, imprese e commerci magari passati a mani insospettabili e corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere».
Parole chiarissime, come si vede. Che essendo state pronunziate 30 anni fa, oggi vanno moltiplicate per chissà quanto. Perché da allora ad oggi tantissime cose sono cambiate. In particolare è aumentata la facilità di circolazione di persone, merci e denaro con conseguente incentivazione di quella espansività che la mafia di per se stessa ha già nel suo Dna. Senza dimenticare che ben prima del 1982 già erano concretamente all’opera potenti fattori di infiltrazione della mafia al Nord. Il “merito” va attribuito al soggiorno obbligato, del quale Dalla Chiesa (nella stessa intervista) dice di aver capito che: «Era un boomerang, qualcosa di superato dalla rivoluzione tecnologica, dalle informazioni, dai trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i Collura, i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio con il quale erano stati da me denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949 (sempre assolti per insufficienza di prove: ndr). Chiedevo notizie sul loro conto e mi veniva risposto “Brave persone”. Non disturbano. Firmano regolarmente. Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a Parigi».
Allora, scagliarsi contro chi oggi denunzia una verità prima di tutto “logica” come l’insediamento della mafia anche al Nord è semplicemente grottesco. E’ un pò come stupirsi della forza di gravità o che l’acqua bagna. Per evitare di esporsi a brutte figure con polemiche insensate basterebbe leggere qualcosa che non sia l’anacronistico folklore della coppola e lupara, per esempio quel che scrive la sociologa Alessandra Dino, secondo cui la mafia è: «Un’organizzazione in continua mutazione, in grado di mimetizzarsi e di scomparire; una struttura criminale che cambia, pur nella radicale continuità con se stessa, che mantiene il localismo territoriale pur conducendo attività illecite in una dimensione globale e reticolare».
Globale, capito? O vogliamo fare la figura dei provinciali escludendo dal globo proprio e soltanto il Nord Italia? La parola chiave per superare le polemiche strumentali è dunque “riciclaggio”. La mafia accumula ogni giorno, purtroppo, quantità imponenti di denaro sporco. Per poterne effettivamente godere deve ripulirlo, investendolo senza che se ne scopra l’origine illecita. Questa attività si indirizza “naturalmente” verso le aree più ricche (o meno colpite dalla crisi) del nostro Paese, Nord in testa. Perché il denaro sporco – se riciclato là dove ne circola molto – più facilmente può mimetizzarsi, mentre se io mafioso investo in un deserto, facile che mi becchino subito….. Certo i mafiosi fan di tutto per non farsi notare ed è difficile scoprirli. Ma fare come gli struzzi e nascondere la testa sotto terra è davvero troppo.
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