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Caso Cucchi: l’appello delle associazioni a Giovanardi

Di redazione* il . Progetti e iniziative

Appello al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, perché il Dipartimento delle Politiche Antidroga di cui è responsabile si costituisca parte civile nel processo per la morte di Stefano Cucchi.

Il 27 ottobre 2010 si è svolta l’udienza preliminare relativa al processo per la morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre del 2009, dopo 6 giorni di arresto.
Al processo sono imputate 13 persone, agenti di polizia penitenziaria, accusati di gravi lesioni alla persona, medici ed infermieri della sezione per detenuti dell’ospedale Pertini, accusati di mancata cura ed inadeguata assistenza, ed il dirigente del Prap, accusato di falso. All’udienza preliminare il Dipartimento delle Politiche Antidroga era assente.

Lei, senatore Giovanardi, che è a capo del Dipartimento in quanto sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non ha ritenuto di doversi costituire parte civile al processo, come invece ha richiesto ed ottenuto il Comune di Roma. La scelta da Lei effettuata non ha raccolto le sollecitazioni che Le sono pervenute, affinché il Dipartimento si presentasse come parte lesa.

La sua mancata presenza al processo appare come se la inaudita e tristissima vicenda di Stefano Cucchi non La riguardasse. Come se il comportamento di dipendenti dello Stato dei due diversi comparti preposti alla funzione di protezione e di cura non chiamasse in causa l’applicazione delle politiche sul carcere e la tossicodipendenza del Suo Dipartimento e lo stesso spirito della Sua legge, la Fini-Giovanardi, da Lei fortemente voluta e che porta in calce anche il suo nome.
Al di là del giudizio di merito sull’opportunità e sull’efficacia di una legge approvata con voto di fiducia, in coda di legislatura, senza dibattito parlamentare, ed “agganciata” al decreto per il finanziamento delle olimpiadi invernali di Torino del 2006, ciò che Le chiediamo, con la richiesta di costituirsi parte civile al processo, è un atto di dissociazione inconfutabile che, più di ogni dichiarazione, recida il nesso tra le buone intenzioni da Lei attribuite alla Sua legge ed i comportamenti degli imputati che l’hanno disattesa.

Lei ha sempre sostenuto che il Suo testo di legge, pur adottando una logica repressiva e punitiva, si pone come obiettivo la cura e la riabilitazione delle persone tossicodipendenti. L’intenzione, la “ratio”, come Lei ha spesso ricordato, dell’articolato legislativo consiste nel motivare le persone tossicodipendenti alla cura. L’esperienza del carcere rappresenta solo un passaggio o una minaccia, allo scopo di favorire una scelta di cura tramite l’accesso alla pena alternativa alla detenzione, che prevede il percorso riabilitativo in comunità terapeutica o nel territorio. L’innalzamento fino a 6 anni di condanna, ad eccezione di alcuni reati, previsto nella Sua legge, per fruire di tale beneficio, è stato l’argomento da Lei più volte addotto a dimostrazione del prevalere dell’intenzionalità terapeutica su quella punitiva dell’intero articolato.

Alla Conferenza nazionale, che ha il compito di legge di verificare ogni tre anni l’efficacia delle politiche sulla droga, e che si è tenuta a Trieste nel marzo del 2009, Le furono rappresentate le tante difficoltà che si frappongono nel concreto alla realizzazione delle aspirazioni riabilitative che intendevano animare la sua riforma della legge 309. Una, fra le molte, riguarda l’intreccio tra la nuova normativa ed un’altra legge, la cosiddetta ex-Cirielli, che limita drasticamente alle persone recidive, di cui le persone tossicodipendenti costituiscono la maggioranza, la possibilità di ricorrere alle misure alternative alla detenzione.
Una contraddizione che è probabilmente sfuggita nella fretta di legiferare a scadenza di mandato e che oggi contribuisce all’attuale sovraffollamento carcerario, e di conseguenza alla limitazione di fatto dei diritti delle persone detenute. Nella grande maggioranza delle situazioni le persone tossicodipendenti vengono mantenute in stato detentivo fino allo sconto definitivo della pena.

Sono invece operativi gli altri aspetti della Sua riforma legislativa: l’aumento delle pene, l’equiparazione delle droghe “leggere” e “pesanti” in fatto di gravità, la limitazione dell’autonomia del giudice nell’accertamento della sottile linea di confine che separa il consumo personale dal reato di spaccio con la definizione arbitraria della dose massima consentita per uso personale. Un’attenta e seria valutazione delle conseguenze negative della legge da Lei voluta, a comparazione degli esiti auspicati, non è ancora stata condotta. Meriterebbe l’investimento di una ricerca.
Se ne risultasse che si sono aumentati i danni, sarà compito del Suo Dipartimento delle politiche antidroga provvedere alle correzioni.

E’ necessario che un aspetto vada subito, comunque, corretto. E’ l’equivoco, a cui la legge può dare luogo, nell’interpretazione semplificata di alcuni operatori che devono applicarla, di legittimazione di comportamenti irrispettosi che ledono la dignità delle persone tossicodipendenti. Se le persone tossicodipendenti debbono essere riabilitate per forza, perché in quanto tali non conservano la dignità di essere umani, l’interpretazione dell’uso della forza può portare a pericolose prevaricazioni. Anche per questo Le chiediamo che il Suo Dipartimento si costituisca parte civile al processo.

Non solo per un dovuto atto di giustizia per la morte di Stefano e le modalità in cui è avvenuta, le cui responsabilità sono in corso di accertamento.
E’ ancora in tempo. Tra l’udienza preliminare e l’apertura del dibattimento c’è ancora tempo per potersi costituire parte civile. Le chiediamo e Le auguriamo di farlo.

* Firmatari:

Leopoldo Grosso, vice-presidente Gruppo Abele e componente della Consulta degli esperti presso il Dipartimento politiche antidroga

Livio Pepino, giurista, direttore di Questione giustizia e condirettore di Narcomafie

Patrizio Gonnella, presidente di Antigone

Tonio Dell’Olio, ufficio di presidenza di Libera

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