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Terra di libertà

Di Stefano Fantino il . Lombardia, Puglia

«La mattina, questo bisogna dirlo, c’è sempre da fare levatacce,
questo sì, ma hai presente quando, da bambino, ti svegli presto il
giorno di Natale?» Siamo solo a novembre, ma da quasi un mese, Giuseppe,
che bambino non è più, si gode il suo Natale ogni giorno. A quarantadue
anni, lontano dalla sua Milano, si carica di energia al solo pensiero
di svegliarsi e e assistere all’ormai rituale «spettacolo mattutino»,
come lo definisce lui, in quel di Mesagne, provincia di Brindisi. Prima
di andare a “dare una mano” nei campi. Come sia finito lui, in Salento,
sui terreni confiscati alla Sacra Corona Unita e ora gestiti dalla cooperativa
Terre di Puglia, rimane una piccola storia, stupenda, da raccontare.
Una di quelle storie che in un attimo raccontano tanto di un Paese,
intersecando mille fili insieme, tracciando un ritratto tanto realista
di quello che oggi succede in Italia. Reale come quella terra coltivata,
figuriamoci, poi, per uno, come Giuseppe, che «di colture di cardi
e olive ha sentito parlare solo nei documentari».  

Fino a poco tempo fa viveva al nord, Giuseppe. Un tecnico delle comunicazioni,
presso una grande azienda, rappresentante sindacale Fiom e al tempo
stesso molto attivo politicamente  e nel sociale («sono termini
desueti ma vorrei ricordare che sono antifascista e antirazzista» tiene
a sottolineare). Lo spettro che aleggia su tanti lavoratori è alla
fine arrivato. Una cassa integrazione di quattro mesi che lui e i colleghi
sono stati costretti a firmare: «Era alle porte, nel nostro caso fortunatamente
dopo alcune trattative l’azienda ha deciso di corrisponderci 500 euro
mensili per permetterci di vivere dignitosamente, sai molti hanno il
mutuo da pagare ad esempio». Giuseppe si è così trovato di fronte
a una scelta e prontamente ha preso la sua decisione, ovvero mettere
a disposizione quel tempo, farlo fruttare, in attesa di essere richiamato
al lavoro. Dopo aver conosciuto Libera e la sua realtà si è mosso
per cercare alcuni contatti che gli permettessero di andare a dare una
mano, volontariamente, senza retribuzione, in una cooperativa che gestisce
i beni sottratti ai mafiosi. «Non avrei accettato un lavoro d’ufficio,
volevo proprio andare nei campi, ora è un mese che sono qui, vivendo
della cassa integrazione e dando un mano come posso, e penso che rimarrò
anche per tutto dicembre» ci racconta, felice. Che sia un’esperienza
unica ce lo ribadisce spesso al telefono, qualcosa che non si aspettava
e per cui deve ringraziare lui i ragazzi, «fantastici», che l’hanno
accolto. Non viceversa. 

Impossibile dimenticare per lui, che a Mesagne ci ha festeggiato
anche il compleanno, qualche giorno fa, la manutenzione e la concimazione
dei vigneti. Il recupero dell’impianto a goccia per i pomodori, la raccolta
delle olive. Casse pesanti, tracimanti, spostate a spalla verso il camion.
E se il gesto assume un chiaro valore “politico”, non è da tutti
in un momento del genere voler fare una esperienza di tale spessore
simbolico, la quotidianità rinsalda la volontà di vivere questi giorni
con il regalo del confronto. Della scoperta. «Hanno qui un modo loro
di fare le cose, che io non conoscevo, una loro cultura, il modo in
cui sentono la terra, per loro è vita» dice Giuseppe del rapporto
con la gente del luogo. «Penso che ogni tanto si chiedano cosa ci faccio
io lì, da volontario, a dare una mano, su quello che per loro è sacro».
Si lui, proprio lui, che ora guarda il meteo per capire se il giorno
dopo pioverà, quel Giuseppe che vivendo questa realtà dà segno tangibile
di un responsabilità condivisa nell’essere consapevoli non solo della
presenza mafiosa, ma anche dei mezzi e dei modi per riscattarsi da questa
amare e dura realtà.  Magari condividendo un lavoro con ragazzi
che, la sera, tornano nella casa circondariale. Colleghi di lavoro,
anche loro, animati e volenterosi. 

Senza contare che Giuseppe di consapevolezza della presenza di mafie
al Nord, ne ha da vendere: «I ragazzi di Libera ovviamente sono informati,
ma io, nel mio piccolo ho portato la mia conoscenza, da sindacalista,
di quanto accade al nord. Inutile che ti parli di Buccinasco e dell’Expo,
ma non solo lì, anche lavoro nero e nel caporalato che nella mia Lombardia
c’è in maniera massiccia». Certo andare a lavorare su un campo ha
un valore tutto suo, lo senti sulla schiena la sera.  Buon lavoro,
allora, Giuseppe. «Grazie, sai volevo ringraziare ancora questi ragazzi,
amano questa terra, cosa che io non sentivo da tempo, le danno valore,
sai questa è vita, far crescere qualcosa, beh ora l’ho sentita anche
io».  
 

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