Abusi sulle donne: la violenza più diffusa
“La violenza sulle donne è la violazione dei diritti umani più diffusa nel mondo”, come dichiarato da Irene Khan – già segretaria generale di Amnesty International. Non è necessario recarsi in un altro continente o uscire dai confini nazionali per incontrare donne che hanno subito violenza. Sebbene la legislazione italiana e anche regionale calabrese tuteli la donna, sebbene importanti conquiste abbiano migliorato la contemporanea società civile ancora la discriminazione di genere esiste e il fenomeno della violenza sulle donne, sommersa e non, non è stato sconfitto. In Italia, secondo dati Istat, un terzo delle donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale. Oltre sei milioni di donne sono vittime di abusi e di queste oltre un milione vive questo dramma per mano di conoscenti e ad un’età inferiore ai 16 anni. Due milioni sono vittime di stalking da parte di ex fidanzati o ex mariti. Quasi il 70 % delle donne vittime di stupri ha subito violenza dal proprio partner o ex partner. Neanche l’8% denuncia e solo il 2,8% si rivolge ai centri antiviolenza. In 6 casi su 10, il delitto di omicidio in famiglia è subito da una donna. Il dato incoraggiante, ma assolutamente non esaustivo, è che sono in aumento le denunce; nel 2001 sono stati 4224 i delitti denunciati e 4571 nel 2004, con 1530 condanne a fronte di un numero consistente di autori ignoti.
Una violenza che attanaglia anche la Calabria dove sono state sporte 150 denunce con più di 40 arresti per stalking e dove operatori e professionisti del settore dichiarano che la donna ricorre alla denuncia alla richiesta di aiuto con notevole difficoltà. In questo la comunità calabrese deve ancora compiere dei passi importanti. Ma è un dato che risponde ad un quadro generale nazionale in cui il 93% delle violenze perpetrate dal coniuge non viene denunciata. La quasi totalità degli stupri (91,6%) secondo l’ISTAT non è segnalata alle autorità. Da non trascurare è anche il fenomeno della tratta – 382 arresti a fronte dei 3215 denunciati nel 2005 secondo i dati della Direzione Centrale della Polizia Criminale – che in Italia riguarda 50 mila donne di cui una su tre minorenne, per un giro di affari pari a 5/7 miliardi di euro (V Relazione al Parlamento del Comitato Interministeriale dei Diritti Umani del 2003). La piaga della violenza contro le donne, la spiccata declinazione nelle forme della violenza domestica e della violenza sessuale nel nostro paese e anche nella nostra città, per quanto sintomi di un problema culturale sono la base di partenza per interventi di sensibilizzazione, sostegno e prevenzione, sul cui fronte la recente chiusura del centro antiviolenza “Roberta Lanzino” e della cara rifugio di Cosenza non rappresenta un segnale incoraggiante. Senza dimenticare che la violenza è un aspetto gravissimo della discriminazione di genere ma non l’unico laddove viviamo in una società in cui la donna viene mercificata, mobizzata e umiliata come in una recente e ignobile immagine pubblicitaria di promozione dei preservativi, in cui la gravidanza costituisce un handicap per trovare e mantenere un lavoro. Dov’è la parità dei diritti ma soprattutto dov’è il rispetto della dignità proprio e altrui? Il cammino per l’uguaglianza e la giustizia è lungo e il primo traguardo è quello della visibilità degli episodi di abuso al di fuori delle mura domestiche o dei luoghi in cui si consuma, e dunque la riconoscibilità del problema. Per incoraggiare le donne vittime di violenza a denunciare è necessario creare un contesto sociale sensibile, libero dal pregiudizio, in cui gli strumenti di tutela siano noti e accessibili. In questo senso le istituzioni locali hanno avviato una riflessione che coinvolge tutti i livelli. Si affina sempre più l’attenzione al territorio anche grazie all’operato delle commissioni di Pari Opportunità di Regione Calabria e Comuni.
Un filo unisce la nostra realtà alle donne vittime di violenza domestica in Messico o in Russia o alle attiviste per i diritti umani in Nicaragua. Ma oggi è anche la giornata del ricordo di Orsola Nicolò, madre di tre figli e uccisa dal marito, Francesco Manti, a Montebello Jonico nel settembre del 2008. Nonostante in Italia vigano delle leggi finalizzate al riconoscimento dell’uguaglianza tra uomo e donna e al pieno riconoscimento di pari dignità, il fenomeno della violenza imperversa e rimane spesso sommerso e impunito. Incessante e instancabile deve essere allora il lavoro di tutte le componenti istituzionali e sociali coinvolte. La Costituzione, testo in cui l’ordinamento giuridico italiano riconosce la propria fonte principale, sancisce tra i suoi principi fondamentali la pari dignità sociale e l’uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini. “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso (omissis)” – articolo 3 della Costituzione. Sulla scia di questa disposizione costituzionale, i contenuti della Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione nei confronti della Donna (Cedaw –Onu 1979), che l’Italia stessa ha ratificato nel 1985, trovano ampia rispondenza. La legislazione italiana si adegua con interventi a tutela della maternità e delle pari opportunità, anche se sotto questi aspetti un regresso si registra con l’avanzare di pratiche contrattuali improntate alla flessibilità. La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha inoltre sancito l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la pari responsabilità in materia di educazione dei figli (artt. 29 e 30 della Costituzione, artt 143-144 e 147 del codice civile). Si dovrà attendere il 1981 per la scomparsa dal nostro ordinamento del delitto di onore che consentiva ai mariti di godere di notevoli sconti di pena in caso di omicidio della moglie adultera e proponeva il matrimonio come espediente per estinguere il reato di stupro.
La legge penale italiana consta inoltre di una serie di reati in materia di violenza fisica, psicologica, sessuale, domestica, familiare che pone centralmente la figura della donna, specie se minore, vittima di violenza. Ad implementare il quadro normativo relativo alla tutela della donna e finalizzato a contrastare le forme più diffuse di violenza nei suoi confronti, citiamo la legge 154/2001 sulla tutela della donna nelle relazioni familiari e la legge 66/1996 sulla violenza sessuale, che ha inserito tale fattispecie criminosa tra i delitti contro la persona sottraendola alla precedente collocazione tra i reati contro la morale. In materia di traffico e riduzione in schiavitù la legge 228/03 ha introdotto le misure contro la tratta di persone istituendo dei reati specifici. Con riferimento a questo, l’Italia ha, solo di recente con la legge 2 luglio 2010, n. 108, ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il Traffico di Esseri Umani, in vigore già dal febbraio del 2008. Amnesty International aveva più volte sollecitato il governo italiano ad ottemperare, attraverso questo strumento internazionale, all’obbligo di prevenire la Tratta imposto dall’art. 6 della Cedaw. In materia di sfruttamento e prostituzione la legge 75/58 – nota come le legge Merlin – ha introdotto degli strumenti di lotta contro lo sfruttamento della prostituzione e la legge 269/98 si è occupata invece delle norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale a danno di minori. Introdotto, qualche anno fa, inoltre, il nuovo articolo del codice penale, art. 583 bis, che istituisce il reato di mutilazioni degli organi genitali femminili, pur non riconducendo a tale fenomeno una specifica ipotesi di riconoscimento dello status di rifugiato alle donne che nel loro paese rischiano di essere sottoposte forzatamente a tale pratica. Tale lacuna dovrebbe essere colmata dalla specifi
ca legge sul diritto di asilo, ancora inesistente. Maggiormente favorevole dovrebbe essere, inoltre, la protezione offerta alle donne straniere che fuggono da situazioni di violenza.
L’art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione del 1998, infatti, ha istituito i progetti di protezione sociale, in base ai quali si prevede il rilascio del permesso di soggiorno al fine di “consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale”. Infine altro importante strumento e la legge n. 11 del 23 aprile 2009 con che istituisce il reato di stalking.
Trackback dal tuo sito.