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Il sacco dell’Irpinia

Di Peppe Ruggiero il . Campania

Un minuto e venti secondi. Tanto durarono trenta anni fa, il 23 novembre del 1980, le due scosse sismiche di magnitudo 6,4 della scala Richter che sconvolsero un’ampia area dell’Appennino meridionale, a cavallo tra l’Irpinia e la Basilicata. Un minuto e venti secondi di terrore, in cui interi paesi si trasformarono in tombe a cielo aperto. E i numeri rendono subito la dimensione della tragedia: 2.753 morti, 8.848 feriti, circa 300 mila senzatetto. Saranno a lungo le uniche cifre sicure del dopo terremoto. Bisognerà aspettare undici anni e la conclusione dei lavori di una Commissione parlamentare d’inchiesta, quella presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, per aprire i primi squarci di luce sul buco nero dei finanziamenti pubblici, delle decine di migliaia di miliardi inghiottiti da quella che, giustamente, venne ribattezzata “Terremotopoli”. Una cosa è certa, dietro quei morti, quei paesi distrutti, c’è una politica di decenni che ha saccheggiato l’ambiente, che ha lasciato intere regioni del nostro Paese prive di infrastrutture e servizi appena decenti, che ha alimentato uno sviluppo territoriale completamente anarchico.

I numeri raccolti da Legambiente  nell’anniversario dei 30 anni dal sisma pochi margini di dubbio: dal 1980 a oggi, sono state arrestate, per gravi reati connessi agli appalti e ai lavori della ricostruzione (dalla corruzione all’associazione a delinquere di stampo mafioso) ben 384 persone; al primo posto come numero di arresti figurano i politici e gli amministratori locali (102) seguiti da boss e affiliati ai clan camorristici (86) e da imprenditori e dirigenti d’impresa (80 arresti); nella sola provincia di Napoli, nel periodo compreso tra il 1984 e il 1994, sono stati 902 gli amministratori comunali colpiti da provvedimenti giudiziari; i clan censiti da Legambiente, con un ruolo diretto negli affari del dopo terremoto sono 28, buona parte dei quali (20) impegnati nella gestione degli appalti pubblici.

In Irpinia sono andati distrutti palazzi di cemento armato completati nel 1978. Ospedali inaugurati solo alcune settimane prima. Frutto di un intreccio perverso di corruzione e mancata vigilanza, le conseguenze del terremoto furono il più efficace e terribile dei monumenti alle mancanze più o meno dolose dello Stato. Oggi, a trent’anni di distanza da quegli 80 secondi di terrore e di morte, il bilancio della ricostruzione è ancora provvisorio: nei numeri delle risorse economiche impegnate e ancora da spendere, nella vita delle famiglie sconvolte e sradicate in molti casi dal loro contesto sociale, dai giovani che continuano ad emigrare. Altre certezze, invece, sono state raggiunte e consegnate alla storia di questo Paese: prima fra tutte, il vero e proprio salto di qualità operato dai clan camorristici sfruttando gli appalti del dopo terremoto.

Oggi in molti vorrebbero rimuovere questa memoria, archiviare ciò che è accaduto, ma sarebbe un tragico errore. Nello scandalo del dopo terremoto, infatti, affondano le radici profonde di quella che Legambiente ha ribattezzato “ecomafia”. Esplode, sulle macerie del sisma, quel sistema economico-criminale che porterà alla fine degli anni Ottanta e fino ai nostri giorni allo sfruttamento sistematico e illegale del territorio e delle risorse ambientali della Campania. E non solo. In quella che la Procura di Napoli ha definito come “l’economia del terremoto”, inoltre, si salda quel patto scellerato tra politici e amministratori locali, imprese, anche di rilievo nazionale, e boss camorristici che trasmetterà il virus dell’illegalità allo Stato, all’economia e “infetterà” la stessa società civile. Un patto di cui l’intero Paese paga ancora oggi le conseguenze. Certo, non tutte le opere realizzate sono riconducibili solo a logiche criminali. L’enorme massa di denaro mobilitata per la ricostruzione ha senz’altro prodotto anche effetti positivi, sebbene la verità storica, prima ancora che giudiziaria, sia costellata da centinaia di denunce coraggiose, da innumerevoli pagine di relazioni parlamentari approvate spesso all’unanimità.

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