Mafie al nord,la Dia lancia l’allarme
Il giorno dopo le polemiche tra Maroni e Saviano sembrano smorzarsi, complice anche l’arresto di Antonio Iovine, leader dei casalesi e gli annunci bellicosi del ministro, almeno questa volta, indirizzati nella giusta direzione: «Ora tocca a Messina Denaro e a Zagaria».
L’occasione questa volta è data dalla presentazione in Parlamento della consueta relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia. Diciamolo pure, se non vi fosse stata la cattura di Iovine a stravolgere l’impaginazione di quotidiani e telegiornali, avremmo sicuramente sentito dichiarazioni di esperti e politici e letto pagine e pagine sulle rivelazioni contenute nell’importante documento, compresa la sottolineatura di una presenza delle cosche consolidatasi nel tempo nelle regioni del nord dell’Italia: Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia Romagna e Toscana, ma soprattutto Lombardia, sono ormai le nuove frontiere di una criminalità organizzata sempre più agguerrita e determinata nel perseguimento del massimo dei profitti, sia in modo illegale che in modo sempre più legale, in ragione del volume del denaro a disposizione dei sodalizi mafiosi.
Ed è proprio dalla Lombardia che arrivano i segnali di massima allerta per la presenza delle mafie, in particolare della ‘ndrangheta. La DIA, infatti, racconta e argomenta con cura la “costante evoluzione” della ‘ndrangheta in regione. Mantenendo i contatti con la casa madre calabrese, le locali operanti in Lombardia hanno superato un momento di difficoltà interna, dovuto alle tentazioni secessionistiche di alcuni esponenti di spicco del sodalizio criminale che, come Carmelo Novella, rivendicava piena autonomia dalle ‘ndrine di origine, prima di essere spazzato via dal piombo.
Come documentato e ricostruito nell’operazione “Crimine”, le famiglie attive nella cosiddetta Padania, hanno trovato ampie disponibilità di rapporti, frequentazioni e affari con la classe imprenditoriale lombarda e hanno ottenuto importanti occasioni di crescita anche in ragione del pesante coinvolgimento di personale politico e burocratico in forza agli enti locali che “mantenendo fede a impegni assunti con talune significative componenti, organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l’assegnazione di appalti e assestato oblique vicende amministrative”. Una “consolidata presenza” delle mafie e “una serie di fattori ambientali” che, combinati e miscelati pericolosamente, sono oggi fattori che condizionano in modo davvero pesante i territori lombardi in tutte le loro componenti economiche e sociali e finanche politiche, secondo il tradizionale copione che, lungo l’arco di ben due secoli, le consorterie mafiose hanno incarnato, pur nella diversità dei contesti storici e sociali.
Sotto i riflettori degli investigatori della DIA, finisce il sistema degli appalti pubblici, dal movimento terra all’edilizia, passando per il comparto più ampio delle opere di urbanizzazione, che subisce la presenza di una vera e propria “mafia imprenditrice calabrese” capace di mettere in piedi cartelli d’imprese in grado di occultare le presenze criminali che sono all’origine degli stessi.
Cantieristica, logistica, movimento terra, ciclo degli inerti, smaltimento di rifiuti e bonifiche ambientali sono i settori più di tutti esposti al rischio del contagio criminale che non si accontenta più degli ingenti proventi del narcotraffico ma cerca di entrare nell’economia legale dalla porta principale, quella delle commesse pubbliche, delle cosiddette grandi opere.
Il risultato inevitabile è la “partecipazione ormai pacificamente accettata di società riconducibili ai cartelli calabresi a determinati segmenti, in espansione, del settore edile, sia pubblico che privato”. Il pensiero corre ai numerosi imprenditori caduti nelle maglie delle grandi inchieste avviate negli ultimi anni dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, dalla “Cerberus” alla “Parco Sud”, per finire alla “Crimine” che, nel cuore di luglio di quest’anno, ha visto finire in carcere ben trecento soggetti, arrestati tra Lombardia e Calabria. E proprie in queste ore nuovi sviluppi vengono dalla Calabria a danno della famiglia Commisso.
Il vero e proprio “condizionamento ambientale” che assume i contorni di quanto definito dall’articolo 416 bis del codice penale, che colpisce l’associazione mafiosa in quanto tale, è frutto innanzitutto del consenso e dell’assoggettamento riconducibili alle cosche calabresi. Consenso e assoggettamento sono le due principali tecniche utilizzate oggi dai mafiosi per imporre il loro controllo asfissiante sull’economia legale e sulla pubblica amministrazione, terreno cruciale per la predisposizione di tutti quegli atti propedeutici al loro ingresso negli appalti.
Non è più necessario il ricorso all’intimidazione e alla violenza, sono ben altri gli strumenti a disposizione dei mafiosi imprenditori, che fanno leva, da un lato, sul ricorso al massimo ribasso durante le procedure d’appalto e, dall’altro, sulla necessità di terminare comunque e a qualsiasi costo le opere nei tempi previsti, anche e soprattutto quando i termini a disposizione per la chiusura dei cantieri sono veramente ridotti. Tutti i fattori evidenziati dalla DIA rilanciano l’allarme in vista dell’Expo 2015: la grande kermesse mondiale è ancora sostanzialmente al palo, per i noti veti incrociati tra forze politiche e per il braccio di ferro tra amministrazioni locali e governo centrale. Oggi, alla fine del 2010, i tempi per le grandi opere previste sono ormai ridotti al lumicino. Investire sulla prevenzione e il monitoraggio degli appalti sono le uniche vie percorribili al momento. In attesa che il ministro Maroni si accorga dell’espansione delle mafie al nord, in piena Padania.
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